“Amo l’Italia, mi sento italiano”. Otto anni nel Belpaese, rigorosamente rossoneri: 322 presenze e 175 gol per Andriy Shevchenko. Lo “Zar” è stato protagonista della partita tra stelle organizzata dall’ex compagno Kaladze, un tuffo nel passato che non ha lasciato impassibile l’ex numero 7 del Milan.
“Spareggio Italia-Ucraina? Speriamo di no, e non è solo una questione tecnica” – si legge nelle pagine de La Gazzetta dello Sport – “Amo l’Italia, mi sento italiano. È da quando sono bimbo che ho il vostro Paese nel cuore. Venni undicenne per un torneo giovanile, giocammo ad Agropoli e rimasi incantato dalla gente, dal modo di vivere, da tutto. Rientrai a casa con la convinzione che un giorno avrei vissuto a lungo in Italia. Da evitare nei play-off per una questione di cuore e non sono sentimenti di circostanza. L’Italia è l’università del calcio dal punto di vista tattico. La serie A propone novità ogni anno, e io attingo moltissimo. Mauro per me è poi sempre stato un punto di riferimento in ogni senso, anche umanamente. Ci capiamo con uno sguardo”.
Yarmolenko e Konopljanka i “gioielli” della sua Ucraina: “Hanno qualità ed esperienza, ma le mie squadre non dipenderanno mai dai singoli. Non si va lontano così, l’ho imparato in Italia. O hai Messi oppure devi prima di tutto essere solido, organizzato e con un’identità ben precisa. Stiamo gettando basi importanti, il lavoro va completato e mi piace questa esperienza”. Futuro in serie A? E’ l’obiettivo di Sheva: “Sono orgoglioso di aver scritto pagine storiche del calcio italiano da giocatore, e un domani vorrei fare altrettanto da allenatore, questo è certo. Un Mondiale senza l’Italia perderebbe sapore, io sono convinto che ce la farete. E comunque in generale non vedo più una crisi italiana. Secondo me il vostro calcio è tornato a crescere negli ultimi anni, merito di un’eccezionale scuola di allenatori. Avete sempre talenti di livello, ma soprattutto producete idee nuove, tecnici con caratteristiche differenti fra loro ma comunque rivoluzionari: penso a Conte, Allegri e Sarri“.
Parole al miele per Sarri: “E‘ una specie di Sacchi 2.0: il Napoli è davvero una piccola rivoluzione a livello mondiale. Non è un caso che l’Italia abbia vinto in ogni occasione al di là dei singoli, è sempre arrivata come collettivo, organizzazione, filosofia e strategia. Quest’anno in corsa per il titolo di miglior tecnico Fifa c’erano Conte, Allegri e Zidane: due italiani e uno che come calciatore è diventato grande in serie A. Vi garantisco che tutti eviterebbero volentieri l’Italia durante un Mondiale o un Europeo: puoi anche batterla, ma ne esci a pezzi mentalmente. Avete visto che fatica ha fatto la Germania all’ultimo Europeo contro Conte e i suoi ragazzi? E i valori puramente tecnici erano sbilanciati in favore dei tedeschi”.
Pronostico sulla serie A: “La Juve è la più forte per struttura societaria, rosa ed esperienza. Subito dietro vedo il Napoli, che non smette di crescere. L’Inter? Ha Spalletti, tecnico preparatissimo, meticoloso, non molla mai e ci mette il cuore nel suo lavoro. Sì, Spalletti è una garanzia per l’Inter, e i nerazzurri saranno lì fino in fondo. Avevo perplessità sul Milan e vorrei chiarire. Ho semplicemente detto cosa avrei fatto personalmente in fase di mercato, ovvero inserire al massimo 3-4 titolari nuovi, di grande valore. Sono già tanti per come la penso io. La strada scelta dalla nuova dirigenza è legittima, ma secondo me presuppone un programma a lunga scadenza, e quindi serve pazienza da parte di tutti: si riparte da zero, per ora è stato comprato il futuro, i fuoriclasse veri arriveranno invece probabilmente fra uno-due anni.E’ giusto alzare al massimo l’asticella anche nelle dichiarazioni, il Milan deve porsi sempre l’obiettivo massimo”.
In chiusura d’intervista si parla del derby ormai alle porte: “Non so come finirà, ma di sicuro è gia di fatto un primo dentro o fuori per il Milan. Il mio derby del cuore è quello del ritorno della semifinale di Champions nel 2003. In città c’era una tensione pazzesca, ma io avevo una grande qualità: quando entravo in campo intorno a me facevo mentalmente il vuoto, sparivano pubblico, bandiereecori; avevo solo campo e avversari in testa e negli occhi. I simboli erano Zanetti, l’avversario più duro, e poi Paolo Maldini che ancora oggi è il mio Capitano”.
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