A volte il nome è tutto. Evoca, descrive, racconta. In latino, si diceva nomen omen: nome come un presagio. Nel Medioevo, ci hanno fatto dei trattati interi. Pensate a Dante, che su Beatrice aveva ragionato al punto tale da arrivare alla conclusione che già dal nome fosse una donna angelo: portatrice di beatutidine. Sono forzature, è chiaro. Ma Mergim in albanese vuol dire “esilio”, e Mergim Vojvoda, da piccolo, un esilio l’ha vissuto davvero.
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È stata durissima, quando a poco più di 4 anni (era il ‘99, lui è nato nel ‘95) è dovuto scappare per rifugiarsi in Belgio. È nato in Germania ma senza docunmenti, è dovuto tornare nella regione di Drenica, una delle zone più martoriate dalla guerra del Kosovo. Di qui la nuova fuga: sentiva le bombe, dormiva nei boschi e viaggiava nei trattori di notte. Per cercare fortuna con una famiglia che ha tentato di tutto per trovare la salvezza. Durante il viaggio, dovette abbandonare per strada padre (che era un soldato), fratello e sorella, imprigionati in Repubblica Ceca in quanto clandestini. Poi, finalmente, la via per il Belgio, dove poter sognare una nuova vita.
Quella di Mergim è la storia di un ragazzo che ce l’ha fatta: ha lottato, non si è mai tirato indietro. I suoi genitori glielo avevano sempre detto, lui non ha mancato di ricordarlo in più interviste: “Mi dicevano di inseguire sempre i miei sogni, che avrei avuto loro dietro per realizzarli”. Come tanti bambini, si divertiva giocando a pallone. Nel 2013 arriva a pensare: “Non è che potrà diventare il mio lavoro?”. Suo cugino Brahim, d’altra parte, è stato uno dei migliori attaccanti del Kosovo: il calcio era di famiglia.
Dal settore giovanile dello Standard Liegi passa alla squadra B. Quindi inizia a essere prestato in vari club. E cresce a fatica. Promesse non mantenute, trasferimenti saltati e un prestito in quarta divisione tedesca (al Carl Zeiss Jena) dove faceva fatica ad arrivare a fine mese per lo stipendio bassissimo che percepiva. “Dovevo uscire dalla mia comfort zone” ha raccontato poi, come se di agi ne avesse avuti parecchi in passato. Ma non importa: continua e lotta. E a un certo punto ci riesce. Perché non gli mancavano le qualità: già nelle prime relazioni su di lui, si segnalavano l’intelligenza tattica e la gamba, con una progressione in velocità notevole. Poi i dribbling (per quelli basta vedere i video su youtube), che fanno di lui un esterno difensivo di quelli moderni.
Non è un caso che piacesse anche a Gasperini: perché Mergim può giocare sia in un centrocampo a cinque, sia in una difesa a quattro, che è il marchio di fabbrica di Giampaolo. Se serve, anche da interno di centrocampo: in Belgio è capitato e se l’è cavata alla grande. I nerazzurri pensavano a lui come a un nuovo Castagne, che arriva proprio da quel campionato dove si sta investendo tanto su giovani e strutture. “C’è ancora molta differenza, ma stiamo crescendo”, ci racconta Gunter Thiebaut, uno tra gli agenti belgi più attivi negli ultimi anni.
Ha seguito con interesse, da esterno, la trattativa che ha portato Vojvoda in Italia, applaudendo al Torino che è riuscito a strapparlo alla concorrenza a un prezzo più che vantaggioso (i dettagli). Una chiave per arrivare al trasferimento è stata un suo ormai ex compagno: quel François Gillet (qui la sua intervista) che allo Standard è ormai un’istituzione e con il quale ha parlato parecchio del Toro e del calcio italiano. Ha sempre sorriso tanto, Mergim, e quando pensava alla prospettiva di cambiare tutto per continuare a inseguire un sogno, ha sorriso ancora di più.
Ha tardato la partenza per salutare tutti i compagni: “Buongiorno e grazie” ha detto, ridendo, al gruppo prima di prendere il volo diretto verso l’Italia (il video qui in alto, dalla sua pagina Instagram). E già a Torino, dalle prime immagini con i compagni, sembra aver fatto capire di essere un ragazzo che nello spogliatoio ci sa stare. Contenderà ad Aina la maglia da titolare, dorme in camera con Ujkani che lo aiuterà, almeno all’inizio, come interprete. In albanese, destino si dice fati. Il fato: è quasi italiano. Mergim ha deciso il suo. "Se sono così adesso, è per tutto quello che è stato", ha spiegato alla sua presentazione in Italia. Sorride e va in campo, senza dimenticare mai il suo passato. È la sua forza.
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