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Matuidi, un working class hero al potere

L’imprescindibilità della classe operaia. Quelli che “senza di loro, i campioni non potrebbero esprimersi”. Un classico, ma quanto è vero. Mario Mandzukic e Blaise Matuidi ne sono l’esempio lampante: working class heroes al potere. I due finalisti dei Mondiali, gli ultimi arrivati. I più in forma tra gli uomini di Allegri. Il croato si è addirittura ridotto le ferie pur di poter tornare a disposizione del suo allenatore, pronto per una nuova stagione.

“Senza di noi operai non ci potrebbero essere gli artisti. E viceversa”: ammissione di Matuidi stesso in un’intervista passata. Il francese nella serata del Tardini si è dimostrato ancora una volta cuore, anima e polmoni della sua squadra. Non è certo un caso che Allegri a lui non rinunci mai. Mai. Come tutti gli allenatori avuti in precedenza dal classe ’87. Matuidi ha rischiato di vedere il suo sogno di diventare calciatore infranto già da piccolissimo e forse è stato proprio questo a dargli la forza di non mollare mai, di correre per 11 fino al 95′ in ogni match. Sesto ed ultimo figlio di padre angolano e madre congolese fuggiti dalla guerra civile, col padre che trovò lavoro in Francia come guardiano notturno di un supermercato, nacque con un rene dilatato. Un problema che iniziò a dargli qualche fastidio intorno ai cinque anni, peggiorando sempre più fino ai dodici, quando i medici trovarono la soluzione. Dopo essere guarito, il francese entrò nella scuola calcio della Federazione Francese di Clairefontaine e qualche anno più tardi, appena diciassettenne, esordì col Troyes in Ligue 1.

Iniziò come attaccante, peccato che rientrasse a difendere e ad aiutare i compagni addirittura troppo. Passò quindi ad essere schierato come ala sinistra. Stessa storia. Ad un certo punto, al terzo anno a Clairefontaine, l’allenatore Jean-Claude Lafargue, stufo di questa ‘eccessiva generosità’, lo identificò come centrocampista davanti alla difesa e da quel momento Matuidi esplose. Vera e propria sliding door della carriera dell’ ‘avvoltoio’: il suo soprannome in riferimento al quale il rapper Nisha gli dedicò la canzone “Matuidi Charo” ai tempi del PSG. Da lì è nata la danza dell’avvoltoio, con tanto di esultanza ad hoc con le braccia larghe a mo’ di ali messa in mostra dal centrocampista ad ogni gol segnato. Come nella serata del Tardini. Avvoltoio perché in campo Matuidi è affamato: dà sempre tutto. Fino allo sfinimento. La sua abilità è sempre stata quella di sapersi migliorare col lavoro quotidiano, soprattutto visto che per mezzi tecnici, confrontato coi suoi coetanei, non era certo tra i più dotati. Anzi. Come dice Allegri: Matuidi ha una caratteristica fondamentale: sta zitto e corre. Un’abilità (rara) che l’ha portato addirittura a vincere il premio di France Football di miglior giocatore francese del 2015 – davanti a gente come Griezmann – e, tra i vari titoli di squadra con PSG e Juve, a diventare campione del mondo: davvero niente male.

Tipo senza troppi grilli per la testa poi, Matuidi. Antidivo. Da giovane era appassionato di ping-pong e, quando non è con la famiglia, con gli amici gioca a bowling e va sui go-kart. Poi è un generoso, dentro e fuori dal campo. Ha creato una fondazione per il reinserimento dei giovani attraverso lo sport con base a Kinshasha ed è padrino di un’altra fondazione a Fontanay, la cittadina alla periferia di Parigi in cui è cresciuto. Ma soprattutto è uno di quegli imprescindibili grazie ai quali i campioni possono esprimersi al meglio in campo. Tutto ampiamente dimostrato da una carriera da vero e proprio working class hero.

Alberto Trovamala

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