“Era una notte incantevole, una di quelle notti come ci possono forse capitare solo quando siamo giovani, caro lettore”. (Le notti bianche, Dostoevskij)
Quel lontano è stata la Russia, un nuovo campionato, una nuova lingua, una nuova cultura. Una nuova sfida, che Marchisio ha raccolto con coraggio. Perché non è facile rimettersi in discussione a 32 anni, reduce da una fase non esaltante della carriera, e lasciare la propria comfort zone ricominciando da zero. Non lo è stato per l’uomo Marchisio, che però, se ci ha insegnato una cosa, è che il nuovo, lo sconosciuto e il lontano non lo repellono, ma lo attraggono. Probabilmente un pizzico più difficile lo è stato per il calciatore, che ha deciso di ricollocarsi in un nuovo contesto – tattico e di mentalità – sebbene con la personalità di prendersi una maglia numero 10, dopo aver lasciato la 8 e salutato i suoi tifosi in una fredda notte di dicembre a Torino.
E Marchisio sa come si fa. Perché ha scelto la sfida giusta: uno Zenit San Pietroburgo tornato Campione di Russia dopo quattro anni di astinenza, lo Zenit del bomber domatore di cavalli Azmoun – decisivo il suo innesto nel mercato di gennaio – e del sergente Dzyuba, che a 30 anni ha ritrovato pace e una seconda giovinezza; o della bandiera Anyukov, che a fine anno si ritirerà. Uno scudetto festeggiato in aereo dopo il pareggio contro l'Akhmat e la successiva sconfitta della Lokomotiv Mosca. Ma è diventato anche lo Zenit di Claudio Marchisio: non ancora quantitativamente – 15 presenze stagionali in tutte le competizioni e 2 gol – eppure il Principino si è calato nella nuova realtà, si è integrato in un gruppo che racchiude tante storie e le ha messe al servizio di una storia più importante: ha cavalcato l’onda, quella che è simbolo dello Zenit e che è ritratta in un quadro dell’Ermitage di San Pietroburgo, dove Claudio è stato intervistato un paio di volte.
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