‘Colpa delle favole’… se la realtà (calcistica, oggi più che mai) non è all’altezza dei nostri desiderata. Merito delle favole se, dopo ogni tempesta, c’è sempre una via per ripartire. La Favola (F maiuscola d’obbligo) del calcio italiano è in Serie B, il ‘Citta’. Da anni vetrina di giovani e valori umani. Di risultati ed esempi virtuosi. Ora al decimo posto con 44 punti in 31 partite, in corsa playoff partendo – come sempre – con uno dei budget nettamente più bassi della categoria…
Ripartiamo dalle favole. Senza andare troppo lontano, non servono viaggi esotici. Basta fermarsi a Cittadella, paesino di ventimila abitanti in provincia di Padova che da anni staziona stabilmente nelle zone nobili della iper-competitiva Serie B. Senza segreti e ‘petrol-budget’. Solo con la forza delle idee, di un calcio sostenibile, di valori autentici, di un gruppo tra allenatori e dirigenti che lavora insieme da più di vent’anni.
“Il segreto è che non ci sono segreti”, afferma con tono deciso il direttore sportivo Stefano Marchetti, al Citta dai primissimi anni duemila. Uno che il direttore lo fa per davvero. Uno che, come ama affermare, “seleziona gli uomini”. Uno che è sempre andato controcorrente rispetto al pensiero (dominante e miope) di buona parte del calcio italiano. Che ha rifiutato i soldi veri della categoria superiore “per essere se stesso” e che ha costruito un gruppo di lavoro dove il meno longevo è al Citta da circa quindici anni… “perché famiglia è stare insieme e se sei famiglia sei squadra e se sei squadra non hai paura di ‘buttarti nel fuoco’ per l’altro”.
Caro direttore, alla luce del dramma sportivo che stiamo vivendo in queste ore, la domanda da un milione di dollari: un altro calcio in Italia è davvero possibile? “Tutto è possibile nella vita, dipende quali sono i valori che ci guidano. Se continueremo a farci guidare dal dio denaro anziché dalle idee e dai quei tre, quattro valori base che servono per fare calcio, allora no, un altro calcio non sarà possibile e ci saranno altre Svezia e Macedonia del Nord. Noi, per fortuna, al Citta questo problema non ce l’abbiamo (sorride). Ci facciamo guidare dalle idee, da ciò che esprimono – innanzitutto sotto il profilo umano – i calciatori perché fisiologicamente quelli che fanno bene facciamo fatica a tenerli l’anno successivo e non ci possiamo permettere magari il bomber del campionato dell’anno prima. Peschiamo ogni anno dalle categorie inferiori, circa due terzi della nostra rosa viene dalla Serie C, siamo la catena di un percorso che i giovani debbono fare per crescere e ne siamo orgogliosi”.
Kouame, Gabbiadini, Zaccagni e la lista potrebbe allungarsi di molto… tutti made in Citta! “Perché qui i calciatori non sono un numero e ciò è fondamentale soprattutto per quelli più giovani. Parlavo prima di famiglia, una parola che secondo me rende alla perfezione il concetto di ciò che è il Cittadella. Faccio l’esempio di uno dei giocatori più rappresentativi della storia di questa società, Manuel Iori. Nel corso della sua prima esperienza Manuel già a gennaio aveva offerte importanti dalla A, ma noi avevamo troppo bisogno di lui. Cosi una sera ci siamo seduti a tavolino io, lui e il presidente e ci siamo stretti la mano per sancire una promessa, ‘Manu a fine anno ti vendiamo in Serie A’. E così è stato. Poi anni dopo l’ho riportato qui e abbiamo fatto, sempre a tavolino, guardandoci negli occhi, un altro patto… ‘Manu io non ti dirò mai quando sarà il momento di smettere di giocare, me lo dovrai dire tu, perché io mi fido di te’. Un anno fa, di questi tempi, Iori è venuto da me dicendomi ‘direttore, faccio queste cinque gare e smetto’. E, tanto per capirci, secondo me ancora poteva fare la differenza. Ma ora ha smesso e allena la Primavera. Un esempio per far capire come funziona il calcio a Cittadella e come, a mio modesto avviso, dovrebbe funzionare in generale. Lealtà, fiducia e capacità. Il resto viene tutto dopo. Si può prescindere anche dal dio denaro…”.
Pensieri e parole che ci fanno bene in un giorno come questo. Perché gli esempi ce li abbiamo in casa, basta soltanto studiare. I valori. Per non essere prigionieri della paura, quella stessa che ieri sera non riusciva neppure a farci alzare un pallone sui calci d’angolo. Che ci porta a divorare i giovani non appena sbagliano mezza cosa e peggio ancora gli allenatori (i numeri sugli esoneri, anche quest’anno, sono imbarazzanti… progettualità?)… “Al Citta in vent’anni ne abbiamo avuti quattro. Maran, Foscarini, Venturato e ora Gorini. Non ho mai esonerato un allenatore. Ho sempre ragionato al contrario, prendendomi anche del ‘pazzo’ in certi momenti. Ma se ho puntato su un uomo perché alla prima difficoltà lo devo scaricare? Perché poi questo genere di discorsi genera anche ragionamenti piuttosto inquietanti… allora se un amico mi fa uno sbaglio io alla prima occasione lo dovrei cestinare?”.
Parliamo del presente. Delle mille assenze che stanno condizionando la stagione (già ottima) del Citta, a partire dai due attaccanti titolari Tounkara e Okwonkwo che hanno già finito la stagione. Rimpianti? “Sì, ovviamente, ma sarà motivo di crescita per tutti, me in primis. Perché, come dico sempre, nelle difficoltà trovi nuove opportunità. Ora puntiamo a finire la stagione con sana spensieratezza e voglia di regalarci qualcosa di importante. Nel futuro prossimo cosa vedo? Vedo quello che siamo e che saremo sempre, vedo il nostro calcio…. Senza mai farci condizionare dall’altro calcio….”. Quell’ ‘altro calcio’ che, oggi più che mai, dovrebbe farci sentire davvero sconfitti e indurci a meditare seriamente, anziché pensare solo e soltanto a mantenere il proprio status quo.
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