“Dieu est mort” e con lui anche un pezzo di ognuno di noi, che dietro a un pallone rincorriamo sogni a volte irrealizzabili ma forse proprio per questo così assolutamente necessari, così meravigliosamente puri. Pomeriggio di novembre, il 25 novembre, una data che non sarà mai più la stessa: una Waterloo per generazioni di sognatori calcistici. “Murió Diego Armando Maradona”, scrive il Clarin quando in Italia sono circa le 17.
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La notizia è di quelle che gela il sangue nelle vene, troppo autorevole la fonte per non crederci, ma allo stesso tempo troppo dolorosa per non provare a “dribblarla”, esattamente come avrebbe fatto lui. Con quel sinistro magico dal sapore di illusione capace di incantare e regalare sorrisi di stupore misti a meraviglia. E invece no, che rabbia. L’ultima magia a Diego non è riuscita. Maradona è morto, ad appena 60 anni e lo ha fatto nella sua casa di Tigre, periferia a nord dell’area metropolitana di Buenos Aires, dove stava trascorrendo la convalescenza in seguito all’intervento per rimuovere un coagulo di sangue al cervello al quale si era sottoposto a inizio novembre.
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