Dieci anni fa, avrebbe potuto perdere tutto: il lavoro, la carriera, la vita. Ma adesso Petr Cech sorride. E’ il sorriso di chi ha saputo tenere duro, di chi ha combattuto, ha sfiorato la morte, e adesso vive con serenità e gratitudine ogni attimo della sua esistenza. Il ricordo sta in quello scomodo caschetto, che il portiere è costretto a indossare in ogni partita.
Un pomeriggio qualsiasi di Premier League, con il Chelsea impegnato nella trasferta di Reading. Cech è all’apice della carriera, considerato da molti il miglior portiere in attività. Un’uscita bassa, Stephen Hunt non riesce a togliere il piede, l’impatto. Sono passati soltanto sedici secondi dall’inizio della partita. L’arbitro non si rende conto della gravità della situazione, ma nemmeno lo stesso giocatore, che semplicemente accusa la violenza della botta. I medici gli prestano le prime cure, il portiere è intontito, fa gesti con la mano per dire “mi gira la testa”. Di tutto questo, infatti, non ricorderà nulla. Ci vorranno quattro lunghi minuti, per portarlo fuori dal campo, con il pubblico di casa ad applaudirlo fino alla sua sostituzione (al suo posto, Carlo Cudicini).
Durante l’intervento chirurgico, gli vengono impiantati due sostegni metallici per riposizionare correttamente la parte rotta del cranio, che a Cech, per giunta, è anche più fragile del normale: conseguenza del parto trigemellare che ha permesso di nascere a lui e agli altri due fratelli.
Il sorriso, in ogni modo, non ha mai abbandonato i suoi occhi. Lo ha accompagnato nei 98 giorni che ci sono voluti per rivederlo in campo. Da quel momento, sempre col caschetto. “Mi sento sicuro adesso, penso soltanto a fare il mio mestiere” disse. Ed ha continuato a farlo al massimo, perché è tuttora l’unico portiere della Premier League ad avere più “clean sheet” (partite senza subire gol, ndr) e ad aver vinto il Golden Glove con due squadre diverse, il Chelsea e l’Arsenal. Certo, gli piacerebbe giocare libero da questo ingombro, ma su questo i medici non hanno voluto sentire ragioni: “Mi hanno proibito di togliere il casco. E poi se giocassi senza e mi infortunassi di nuovo così non avrei neppure la copertura dell’assicurazione” aveva ironizzato l’anno scorso.
Il portiere non è l’unico ad aver messo il casco per giocare. Cristian Chivu ha dovuto utilizzarlo dopo la frattura cranica di sei anni fa, per una capocciata terribile con Pellissier. Più di recente, anche Corluka è stato costretto ad indossarlo agli scorsi Europei, in Croazia-Turchia. Prevenzione, certo, che non ha alterato il valore delle loro prestazioni: Cech su tutti, che ancor’oggi resta tra i migliori numeri uno del calcio europeo.
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