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Maccabi Haifa-Stella Rossa, calcio e guerra nella terra del profeta

Sammy Ofer era un cittadino del mondo. Nato in Romania, a Galati, agli inizi degli anni ’20 si trasferì con la famiglia nel Protettorato Britannico di Palestina, territorio che nel 1948 sarebbe stato assegnato a Israele. Militò nella marina britannica, e, dopo la seconda guerra mondiale, nei corpi scelti dell’esercito israeliano. Negli ultimi decenni della sua vita, diventò un magnate da 10 miliardi di dollari di patrimonio, un filantropo con la passione per le barche e il titolo di Cavaliere dell’Impero Britannico. 

 

Lo stadio Sammy Ofer di Haifa

 

Ad Haifa (Israele), a pochi metri dall’ingresso dello stadio che porta il suo nome, spicca la statua della Pace universale. Mercoledì 17 agosto, a poche ore dall’andata del playoff di Champions League fra Maccabi Haifa e Stella Rossa, i giocatori delle due squadre, dai rispettivi pullman, la vedranno svettare davanti a sé, luminosa e beneaugurante. 

Haifa e il Maccabi: una storia di integrazione

Haifa è una città portuale, bagnata dal mar Mediterraneo. Un crocevia di genti e di merci, presso cui, secondo la tradizione scritturale, soggiornò a lungo il profeta Elia. Un personaggio in grado di unire le tre religioni monoteistiche, che lo riconoscono e lo onorano. Sempre alla Bibbia risale il ricordo delle gesta dei “Maccabei“, capaci di sconfiggere i sovrani seleucidi, successori di Alessandro Magno. A continuarne il nome, simbolo di coraggio, valore e onore, sono i tanti “Maccabi” che popolano lo scenario del calcio israeliano.

Il Profeta Elia e i corvi (dettaglio): da un dipinto di Paolo Boncompagni

 

Al Maccabi Haifa sembrano aver ereditato le passioni calde dei loro antenati, ma anche il coraggio dei Maccabei e la capacità di unire gli opposti del profeta Elia. È il 1963, dieci anni prima della guerra del Kippur, quando esordisce con la maglia dei verdi Hassan Boustouni.  È arabo, ed è il nipote del primo politico arabo-israeliano del paese. In generale il Maccabi Haifa è sempre stato più aperto all’integrazione, rispetto alla media dei club israeliani. Ha anche accolto giocatori palestinesi nella rosa, a differenza dell’intransigente Beitar Jerusalem, e i suoi ultras, nel sito ufficiale, si definiscono non violenti. Anzi: spesso la violenza i giocatori e i tifosi del Maccabi Haifa non l’hanno causata, bensì sono stati costretti a subirla. Come nel 2014, quando durante un’amichevole in Austria contro il Lille il terreno di gioco fu invaso da militanti filo-palestinesi, che colpirono i calciatori del Maccabi con calci e pugni; o ancora nel 2021, quando alcuni tifosi dell’Union Berlin, in Conference League, intonarono cori antisemiti nello stadio che nel 1936 fu teatro dell’impresa di Jesse Owens, consumata davanti agli occhi di Adolf Hitler. 

 

 

Violenza, guerre e fervore religioso: la Stella Rossa

Dall’altra parte del campo, mercoledì, ci saranno i più o meno consapevoli eredi di una storia di violenza e sopraffazione, ma soprattutto di un legame senza eguali fra etnia, politica, dottrina religiosa (ortodossa) e calcio. È ben noto d’altronde come gli scontri tra gli ultras della Dinamo Zagabria (i Bad Blue Boys) e quelli della Stella Rossa (i Delije) abbiano contribuito a determinare se non i modi almeno i tempi dello scoppio della guerra nei Balcani. I legami tra la tifoseria della Zvezda, le frange di estrema destra della società serba e la criminalità organizzata sono il frutto di una tradizione pluridecennale; il ruolo del leader dei Delije negli anni ’90, “Arkan” Raznatovic, e dei suoi seguaci nel massacro di Srebenica comprovato dalle autorità giudiziarie internazionali. 

 

 

La Stella Rossa non ha mai rinunciato nemmeno ai propri legami con la Russia, come dimostra il mantenimento dello sponsor di maglia Gazprom (che salvò il club dal fallimento nel 2010) anche dopo il 24 febbraio, giorno dello scoppio del conflitto contro l’Ucraina. C’è di più: il 18 marzo, i tifosi serbi hanno esposto al Marakana una serie di striscioni rievocanti i crimini di guerra – accertati o presunti – commessi dall’esercito statunitense nel Novecento. Il messaggio finale riecheggiava il verso di una canzone: “All we are saying is give peace a chance“. 

 

 

Un crocevia di storia, calcio e geopolitica: corsi e ricorsi

La prima partita di Champions League giocata al Sammy Ofer Stadium di Haifa vide affrontarsi proprio una squadra israeliana e una ucraina: fu un Maccabi Tel Aviv-Dinamo Kiev in cui segnò anche Andriy Yarmolenko. Segni del destino. Negli scorsi giorni il conflitto israeliano-palestinese ha ripreso intensità, con le minacce di un bombardamento su Tel Aviv che hanno spinto allo spostamento dell’amichevole tra Atletico Madrid e Juventus. Sono sorte tensioni anche al confine tra Serbia e Kosovo, fronte di costante inimicizia. La settimana prossima, per la prima volta nella storia una squadra del Kosovo (il Ballkani, qualificato ai playoff di Conference League), riconosciuto stato indipendente nel 2008 ed entrato nella Uefa nel 2016, potrebbe entrare in una competizione internazionale. Su questo sfondo, tra Maccabi Haifa e Stella Rossa va in scena l’ennesimo, controverso capitolo delle incrostazioni tra geopolitica, calcio e storia. 

Andrea Monforte

Classe 2000, monzese (d’adozione), studio Lettere a Milano. Un’indomita ed ereditaria passione per lo sport (calcio, ovviamente, ma anche ciclismo), declinata in “narrazione” tecnica e sentimentale: la critica della complessità come antidoto alla semplificazione. La vaghezza del ricordo personale ha reso l’azzurro del cielo di Berlino 2006 un’indelebile traccia mitologica. Sono nato lo stesso giorno di Ryan Giggs e di Manuel Lazzari, ma resto umile.

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