Mr Keith Deans è nato e cresciuto a Liverpool. Vive ad Albert Dock, il complesso architettonico di mattoni, pietra e ghisa dell’area portuale della città. Bello, moderno e leggermente esclusivo; non a caso patrimonio mondiale dell’umanità dell’Unesco da qualche anno. Mr Keith Deans tifa Everton: la società meno famosa e titolata di Liverpool ma sicuramente la più antica della città. “Da giovane mi non mi perdevo una trasferta che fosse una. Adesso ho una famiglia da seguire e pure delle figlie…” ci spiega lui a cuore aperto e in esclusiva. Ma in casa ci va sempre, cascasse il mondo o fosse un Friday Night Football qualsiasi. “Non ho nemmeno chiesto il permesso al capo, sono entrato leggermente ritardo ma c’ero. “Everton-Crystal Palace“. Venerdì sera, appunto. E la moglie?. Presente. Tifosa anche lei e con tanto di fidelity card. Poi Mr Keith Deans mette mano al taschino e ci mostra l’asso nella manica che spiega tutto: “Sono un abbonato del club dal ’79/’80”. Emozione che sale e traspare dai suoi occhi. Si chiama passione. Football.
Una scritta in latino che si legge (e rappresenta il club) nitida proprio dentro lo store del club: “Nil Satis Nisi Optimum”. In pratica: l’Everton è il meglio che ci sia. Un signore ripete: “Noi siamo una famiglia, andiamo prima in Chiesa. E poi a Goodison Park“. La casa blue dei blues di Liverpool. A 10 minuti a piedi dalla casa dei reds di Liverpool. In mezzo, a dividerli, il famoso Stanley Park. “Se ti piazzi in un determinato punto, riesci a vedere entrambi gli stadi” mi si dice. Ma la curiosità più interessante sta tutta rapporto cittadino tra due rivali che non si odiano. “Everton-Liverpool. The friendly derby”. Rispetto e solidarietà comune per la strage di Hillsborough.
Qualche sfottò, normale. Ma nessuno scontro. Mai. E questo clima di casa lo si percepisce anche all’esterno dello stadio, dopo un friday match (Everton-Crystal Palace) in cui lo stadio era comunque tutto esaurito. Permesso dei capi permettendo. Esce l’idolo blue, che ha pure segnato un eurogol su punizione. Occhialino da intellettuale e fidanzata che lo aspetta in macchina: “Lukaku, Lukaku!“. Tutti vorrebbero una foto, qualche selfie oppure l’autografo. Ma nessuno spinge. I tifosi restano composti a un metro da lui, dietro la transenna. Non si sentono né schiamazzi né implorazioni. E Romelu che fa? Va diretto dai bambini e si giustifica con un “prima loro”. I più piccoli. La linfa di questo Everton racchiuso nella sua bolla di football. Quello vero. Che piace a tutti.
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