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“Ehi, ci rivediamo?”. Le 37 volte insieme di Sanchez e Lukaku a Manchester

Wembley, 19 maggio 2018, finale di FA Cup. Da una parte il Chelsea di Antonio Conte, dall’altra il Manchester United. L’allenatore italiano sa già di essere alla fine del suo biennio con il Chelsea. Gli restano 90 minuti per un trofeo. Hazard sblocca la partita su rigore. Sull’altra panchina Josè Mourinho cerca soluzioni. Al 73’ esce Rashford ed entra Romelu Lukaku, che va a far coppia davanti con Alexis Sanchez. Una ventina di minuti di tentativi a vuoto, fino al fischio finale.

Sanchez e Lukaku si accasciano, Conte esulta. La sua ultima panchina ufficiale ancora oggi. 

Festeggia e non può sapere che il futuro gli sta passando davanti.

Alexis e Romelu. La coppia, se la trattativa per il cileno andrà a buon fine, con cui trasformare l’Inter in “forte e regolare”. 

Due che hanno condiviso un anno e mezzo di gioie (poche) e amarezze (tante) nel Manchester United.

Hanno giocato insieme 37 volte. 19 vittorie, 10 sconfitte, 8 pareggi. Quasi 2000 minuti fianco a fianco, quasi mai davvero vicini. Sì, perché anche quel giorno a Wembley entrò Martial e si misero in tre davanti a Courtois.

Quella volta non funzionò, altre volte è andata meglio. Soprattutto in un’occasione, l’unica in cui hanno giocato davvero in coppia.

 

 

Era il 25 gennaio di quest’anno, ancora FA Cup. Solskjaer arrivato da poche settimane al posto dell’esonerato Mourinho schiera Lukaku e Sanchez come tandem d’attacco all’Emirates Stadium contro l’Arsenal.  Alle loro spalle c’è Jesse Lingard in un inedito 4-3-1-2. 

Quella partita lo United la vince 1-3. Primo gol di Sanchez su assist di Lukaku. Il secondo lo segna Lingard su assist ancora del centravanti belga. 

È l’unica delle 37 partite giocate insieme da Sanchez e Lukaku da vera coppia dal primo minuto. Mai successo prima, né dopo.

Mourinho puntava soprattutto sul 4-2-3-1, con escursioni in un più arroccato 4-1-4-1: Romelu davanti e il cileno alle sue spalle largo a sinistra. O a destra, quando c’era Martial.

Ha funzionato poco, anche se le premesse erano state ottime. Alla prima insieme a Old Trafford, 2-0 all’Huddersfield: sinistro di Lukaku, destro di Sanchez (dopo errore su rigore).

Solo un’altra volta sono andati a segno nella stessa partita: 2-0 con lo Swansea, 31 marzo 2018. 

37 partite insieme, 4 assist di Alexis per Romelu e uno del belga al cileno. 

Entrambi hanno reso meno di quanto lo United si aspettasse. Colpa degli infortuni di Sanchez, dell’esplosione di Rashford e di un gruppo di giocatori mai diventato davvero squadra. 

Guardiamo ancora meglio quelle 37 volte insieme: Lukaku ha messo insieme 15 gol e 5 assist, Sanchez 5 e 5.

Facile dire, almeno cifre alla mano, chi ha deluso di più. Ripetendo – per ipotesi – queste cifre in serie A, l’Inter difficilmente potrebbe competere per il titolo.

Conte lo sa, ma di sicuro non si spaventa. Da sempre il suo compito è cancellare gli scarabocchi e scrivere una pagina nuova.

A Udine, Sanchez era la spalla perfetta di Totò di Natale. A Barcellona, tre anni di tridenti e reti gonfiate. Con Wenger all’Arsenal ha fatto praticamente tutto: prima punta, esterno, trequartista. Pioggia costante di gol e assist. Per quello lo United gli ha pagato un ingaggio mostruoso, da oltre 2 milioni di euro al…mese. Uno stipendio che quest’anno avrebbe subito una riduzione del 25% dopo il mancato raggiungimento della Champions. Vale per lui, valeva per Lukaku.

L’Inter può essere una seconda chance per entrambi. Il decreto crescita, che permette di pagare meno tasse sugli stipendi dei calciatori provenienti dall’estero, può essere invece uno dei segreti per cui i nerazzurri saranno in grado di portare un’offerta importante al cileno. 

Che potrebbe arrivare in prestito con diritto di riscatto. Parola magica, soprattutto se depurata da interessi economici.

Una parola che risuona nella testa di un ragazzo pronto a tornare in serie A otto anni dopo l’ultima volta. Quando lasciò Udine, Antonio Conte aveva appena annunciato il suo arrivo alla Juventus. Ora potrebbero ripartire insieme. Per fermare una corsa lunga otto anni.

Claudio Giambene

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