Si scrive ‘Luca’ ma tutti, a San Sebastian, ci mettono la ‘K’. Per abitudine. “Luka Sangalli?”. No. “Luca, grazie". Italiano. “Un poco lo parlo però…. mejor en español!”. Gli viene naturale. “Sbagliano a scrivere il mio nome 9 volte su 10 qui”, città dove è nato e cresciuto il protagonista della nostra intervista. Nonni e genitori italiani, testa – e piedi – che parlano spagnolo, anzi per l’esattezza basco, ‘lingua difficilissima da imparare per chi viene da fuori': Luca è un tipico esempio di ‘canterano’ arrivato in prima squadra, tra i grandi della Liga. Ha già una super clausola di rescissione: 50 milioni di euro. Anche se in Spagna è prassi. “La Real è la mia scuola, la mia casa! E’ un orgoglio essere arrivato fin qui… poi per ragazzi come noi, di San Sebastian, è un emozione speciale che non si può spiegare". Facciamo un rapido test. “Il mio idolo e modello di sempre è Xabier Prieto, quello più recente con cui mi alleno tutti i giorni invece Illarramendi”. Buona la prima. “Se ho mai conosciuto Griezmann? Certo che si! Giocava con mio fratello, ci siamo parlati in più di un’occasione. Mi ricordo bene di lui, è un bravissimo ragazzo, molto gentile. Quando facevo il raccattapalle a bordo campo lui veniva spesso a salutarmi. Mi conosceva! Un giorno gli ho persino chiesto la maglia e me l’ha data!". Tutto molto bello e convincente. Ma il cuore italiano batte e si sente parecchio, soprattutto dalla nonna dove la pasta è la specialità della casa.
LUCA: ITALIANO A SAN SEBASTIAN
Canta Adriano Celentano – in coro con il fratello Marco, a cui è legatissimo – e quando può si mangia un bel piatto di pasta, soprattutto a casa della nonna. "E’ una delle cose che mi mancano di più in assoluto dell’Italia. Un piatto di pasta si trova, è facile trovarlo in giro, anche da queste parti, ma è difficilissimo trovarlo buono e fatto bene”. Luca riavvolge il nastro e ci racconta le origini: “Poco dopo la nascita di mio padre i nonni hanno deciso di trasferirsi a San Sebastian per questioni lavorative e alla lunga siamo rimasti tutti qui! Certo, quando posso – oggi meno, in passato capitava ogni anno durante le vacanze estive – ci torno in Italia. Dove? A casa dei nonni, in Brianza”. La prima parola in italiano che gli viene in mente: “Ciao”. Spiega. “In Italia la dicevo sempre, sia quando mi presentavo sia ai saluti. In Spagna si dice solo una volta, alla fine". Tradizioni che si sfiorano. Ma la casa è una e si chiama San Sebastian: un piccolo paradiso. “Una città che consiglio di vistare: è magica. Ha il mare, la montagna, la gente è adorabile”. Segniamo tutto e lo prendiamo in parola.
LA PAURA
Stava sostenendo un esame alle sei e mezza del mattino perché poi si sarebbe dovuto allenare ma ad un certo punto qualcosa non va. “Mentre stavo facendo un esercizio ho iniziato ad avere problemi alla vista, a vedere ‘stelline’. Mi girava la testa, non riuscivo a muovere il braccio. Mi sono alzato per uscire dall’aula ma non riuscivo nemmeno a girare la maniglia della porta". I professioni provano a calmarlo ma il ragazzo non si riprende anzi, inizia a vomitare. Arriva il medico sociale del club e lo portano in ospedale. “Quando ho aperto gli occhi dalla barella e ho intravisto la scritta 'Unidad de Ictus’ devo ammettere che ho avuto paura. Paura che la mia vita cambiasse radicalmente da un momento all’altro. Dopo una serie di controlli specifici i medici hanno capito le ragioni dell'accaduto e mi hanno subito rassicurato. Fortunatamente è andato tutto bene e non ho avuto conseguenze. Continuo a giocare a calcio, a divertirmi, a sorridere”. Il finale migliore che potesse esserci. "Ho voltato pagina, adesso guardo avanti". Al campo. Alla Real. Anche se una sbirciatina all'Italia non manca mai.
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