Alessio Lisci, romano, è giovane, per il mondo del calcio giovanissimo. La sua storia non è molto diversa da quella di tanti coetanei italiani, che finiti gli studi si guardano intorno, spaesati, chiedendosi “va bene, e adesso?”. Lisci, che voleva fare l’allenatore e aveva già avuto un’esperienza nelle giovanili della Lazio, ha risposto aprendo il pc e mandando il curriculum a tutti i club spagnoli che gli venissero in mente, chiedendogli una panchina nelle loro giovanili. Sperando, intanto, in una risposta.
A quella ventina di mail, però, non ha risposto praticamente nessuno. Tranne due: l’Atlético e il Levante. L’offerta migliore l’ha fatta la squadra meno blasonata di Valencia, che gli ha proposto una collaborazione con le sue categorie inferiori. Ad una paga che non bastava per vivere, e allora il ventiseienne Lisci si è inventato un lavoretto nell’importazione di prodotti italiani. Di nuovo, una storia come tante della generazione Erasmus, che si sbraccia in ogni angolo di Europa pur di farsi un piccolo spazio in un mondo nuovo. O meglio, l’inizio di una storia come tante, perché il finale, 10 anni dopo, è da uno su mille, visto che Alessio, oggi 36 anni, è diventato l’allenatore più giovane della Liga e, sempre nel Levante, è a caccia di una salvezza che avrebbe del miracoloso.
Sì, il salto di dieci anni è un po’ spericolato. In mezzo c’è stato anche un breve ritorno a Roma, senza però tagliare i ponti con il Levante. Tornato, ha fatto grandi cose con il Juvenil A, per poi ricevere la guida della seconda squadra. Da lì è stato chiamato lo scorso dicembre, nel mezzo della disperazione per una squadra che, guidata da Paco López, non vinceva un match dal campionato precedente. “Fai due partite, intanto noi cerchiamo una soluzione”. Poi la società ha visto una reazione e ha deciso di fare il salto nel vuoto, affidando a Lisci la sua prima panchina in un campionato professionistico. Sembrava una follia, ma questo ragazzo e il suo sorriso rasserenante hanno spiazzato tutti.
Innanzitutto, Lisci ha riportato la vittoria ad Orriols. Un parto, letteralmente, visto che il Levante per nove mesi si era dimenticato cosa significasse vincere, un record di tutti i tempi in Liga. 273 giorni di buio, cancellati. Lì è partita una lenta risalita di una squadra tecnicamente non da ultimo posto, ma che a quello sembrava essersi condannata da sola per una mancanza di reazione.
Fino a tre partite fa, il Levante di punti ne aveva messi insieme 11 in 23 uscite. Una miseria. Però, degli ultimi nove a disposizione, se n’è portati a casa ben 7, coronati con un 3-0 all’Elche nell’ultima uscita. Viaggiando a quelle medie horror, valgono come un trofeo. Ma, ciò che è più importante, ridanno vita ad un ambiente che si era abbandonato al suo destino forse troppo presto. “Abbiamo rigenerato l’ilusión”, dice lui, usando quella parola solo spagnola che mescola gioia, emozione e speranza.
Lo spirito finalmente c’è, ed è un punto di partenza non negoziabile, ma poi bisogna venire a patti con i numeri. La media punti con Lisci è di uno a partita: sufficiente per salvarsi in una stagione intera, ma alla fine del campionato di incontri ne mancano 12. Adesso la quota salvezza la detta il Granada, a 24 punti, sei più del Levante (che resta ultimo), anche se con una partita in meno. Insomma, per restare in Liga serve un miracolo. Ma serviva un miracolo anche perché, 10 anni fa, qualcuno desse retta ad Alessio, un ragazzo sconosciuto che si offriva per mail agli uffici più importanti della Spagna calcistica. Si comincia sempre dal basso, e chi meglio di lui per tentare un’altra ascesa da sogno.
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