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Vaduz come Sarajevo, attese e festa: in Liechtenstein è un inno alla Bosnia

Le sciarpe nascondono i volti ma non l’emozione, o gli occhi. Quelli restano vigili, lucidi, perché Liechtenstein-Bosnia è un gioco di attese.

I bambini aspettano Dzeko, partito dalla panchina, accolto con un’ovazione al momento dell’ingresso in campo, mentre i papà non vedevano l’ora di far vedere ai loro ragazzi un po’ di Bosnia, lontana chilometri ma vicina grazie al calcio.

Il risultato è secondario, 3-0 facile, la qualificazione agli Europei passerà per gli spareggi, ma a quei papà non importa niente. Bastava esserci, ricordare, tramandare. Vaduz come Sarajevo, ogni gol è un inno alla Bosnia con esultanze sfrenate.

Sarajevo come Mostar, Tuzla, Banja Luka, le città dell’orrore. Basta leggere gli striscioni lungo le tribune, le famose “pezze” di chi ha trasferito la sua casa in mezzo alle Alpi, tra Austria e Svizzea, scappato via dalla guerra in casa e dalle bombe.

Un giorno Dzeko non andò a giocare con gli amici e si salvò, la prevenzione di mamma Belma fu decisiva. Ora è il miglior marcatore di tutti i tempi in nazionale (58 reti). Un idolo per i ragazzi e le famiglie, Vaduz è piena, e le storie dei papà sono le stesse che ha vissuto lui. Duro del calcio. 

La festa continua a fine gara poi: cartelli, striscioni, cori, entusiasmo, circa duemila persone al Rheinpark Stadion, più vicino al fiume Reno che al centro di Vaduz.

Il Liechtenstein è una "gemma" di banche e benessere incastonata in mezzo alle Alpi, con il castello dei principi che sorveglia tutto dall’alto.

Uno dei pochi paesi in Europa a cui piace la sosta per le nazionali, perché ogni punto è una vittoria, ogni gol un traguardo raggiunto. Specie se contro Portogallo, Inghilterra, Italia, la seconda casa di Mario Frick, miglior marcatore del Liechtenstein con 16 gol. Attaccante, 20 reti in A tra Verona, Siena e Ternana, qualche partita da centrale difensivo con la 10. Oggi allena il Vaduz, ma i suoi due figli continuano la tradizione di famiglia in nazionale: li ha chiamati Yanik e Noah, come l'ultimo tennista francese a vincere il Roland Garros. Fantastique. 

La Bosnia è un caso a parte però. A fine gara qualcuno si ferma e dà la maglia ai ragazzini, figli di una diaspora forzata, occhi sempre lucidi e sciarpe ancora più su, perché il freddo punge la pelle.

Alcuni di loro, la Bosnia, quella dei papà, non l’hanno mai vista e forse non la vedranno mai. Il calcio restituisce tutto e dà un po’ di speranza però, porta la Bosnia a casa tua in una partita insignificante, ma che per loro vale tutto. Perché la gara con il Liechtenstein è un gioco di attese, dove la gemma diventa bosniaca, senza le banche. Almeno per un giorno, solo per novanta minuti, e sotto un castello. 

Francesco Pietrella

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