Nel tempo delle emoticon (o emoji, come preferite) Leo Messi sarebbe sicuramente un alieno. Mortificante, solo per gli avversari. E non ditelo a Guardiola che prima lo ha visto crescere, plasmato, ne ha giovato, a suon di trionfi alzati insieme. Ma poi l’ha subito sempre, come una maledizione; dal Bayern a questa sera, con il suo nuovo City, nel suo vecchio Camp Nou: urlo di Munch mimato per ben tre volte e Pep che se ne torna in Inghilterra con quattro gol in saccoccia, tre solo dell’argentino. “Su Messi avevo ragione: non lo fermi” disse nel maggio del 2015 l’allenatore spagnolo. E aveva ragione. Perché la leggenda continua. Sobrio il commentatore catalano che riassume il pensiero di tutta Barcellona e non solo: “Ringraziamo le nostre madri per averci messo al mondo e dato l’opportunità di veder giocare Leo Messi“. Tripletta. La settima in Champions in tutta la sua storia (ha debuttato il 7 settembre 2007), con Cristiano fermo a 5. Sei gol in due partite in questa Champions. Terrificante. Come le sue accelerazioni, le sue sterzate, la sua velocità di pensiero. Especial. MessiA. Che fortunatamente si può vedere, toccare. Perché è vivo e reale. Un alieno sceso in terra.
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