Bove (IMAGO)
Le parole di Edoardo Bove in occasione della presentazione della legge sul primo soccorso che prende il suo nome
A quasi un anno di distanza dall’1 dicembre 2024, giorno della sua ultima partita in un maledetto Fiorentina-Inter, Edoardo Bove è intervenuto in occasione della presentazione della legge che porta il suo nome, sul primo soccorso in seguito a casi di arresto cardiaci.
Nella conferenza stampa tenutasi a Palazzo Carpegna in Senato, l’ex centrocampista di Roma e Fiorentina ha parlato del suo caso e dell’importanza di questa legge: “Io sono un professionista che si trovava in un campo di Serie A, dove le misure di sicurezza e tutela sono completamente differenti rispetto a quelle dei dilettanti o rispetto a ciò che può accadere semplicemente per strada”.
“Leggo qui “Legge Bove” – ha proseguito – sono davvero onorato che ci sia il mio nome, ma se posso essere sincero, sono anche un po’ imbarazzato. Perché non è giusto prendersi meriti che non sono propri. L’episodio che mi ha coinvolto è stato importante per me, certo, ma c’è chi si batte da moltissimo tempo. Essere citato in questa legge è motivo di orgoglio, ma al tempo stesso vorrei che fosse la legge della Fondazione Castelli, della Fondazione “Per Matteo”, di Stefano Carone, di Mattia e Filippo Alessandrini, che a Piacenza hanno salvato una persona che si stava sentendo male. E potrei fare tantissimi altri esempi: mi viene in mente Mattia Giani, mi viene in mente Davide Astori. Questa legge è per loro. Io capisco che un nome debba esserci, ma il senso è un altro“.
Nel corso del suo intervento, Bove si è anche emozionato: “Per me, per la mia famiglia e per le persone che mi vogliono bene, è un motivo di grandissimo orgoglio essere qui. Avevo persino promesso di non emozionarmi. Ma ci tenevo soprattutto a dire una cosa: dobbiamo combattere la disinformazione. Perché io, prima che mi accadesse ciò che è accaduto, ero il primo a non conoscere i dati statistici che il senatore ha riportato sugli arresti cardiaci“.
Sul tema della disinformazione, Bove ha aggiunto: “La disinformazione porta anche paura. I dati dimostrano che, quando si chiede alle persone se interverrebbero in una situazione di emergenza per salvare una vita, molti si tirerebbero indietro. E secondo me lo farebbero perché hanno paura di sbagliare, di non sapere cosa fare. Il nostro impegno, e l’impegno di tutte le associazioni, è proprio quello di diffondere informazione e cultura del primo soccorso“.
Infine, ha concluso così il suo intervento: “Ci proviamo anche con il presidente, nel nostro centro sportivo a Casa Viola, con i ragazzi, tramite la Fondazione Castelli. Ci proviamo nelle scuole, insieme alle associazioni. E la cosa che ci dà speranza è che, se facessimo la stessa domanda ai bambini – “interverresti per aiutare qualcuno in difficoltà?” – loro alzerebbero la mano subito. Questo ci indica chiaramente dove dobbiamo concentrare i nostri sforzi. Il nostro rettangolo di gioco, per usare una metafora, sono le scuole, i centri sportivi, i luoghi in cui c’è la volontà di imparare e il coraggio di farlo. Credo sia arrivato il momento di alzare tutti la mano per dire che siamo presenti e che vogliamo fare qualcosa su questo tema“.
Anche il Ministro dello sport Andrea Abodi ha parlato nel corso della conferenza stampa e durante il suo lungo intervento ha parlato delle motivazioni dietro a questa legge: “C’è forse una ragione che non conoscete, che riguarda anche la mia vita. Io mi sono confrontato con questa problematica che colpisce 65.000 persone l’anno, un numero pazzesco. Se non ce ne rendiamo conto, diventa routine: ci abituiamo troppo facilmente a tutto. Le Torri Gemelle hanno devastato la vita di 3.000 persone, una volta. E qui ogni anno c’è una guerra silenziosa, come altre guerre silenziose: penso agli incidenti stradali e a ciò che comportano, a ciò che lasciano. A me è successo 40 anni fa. All’improvviso, un mio cugino di 13 anni, giocando a pallone d’estate con i suoi amici, è andato giù ed è rimasto per terra. Era un tempo diverso: meno conoscenza, meno informazione, meno consapevolezza. Ma oggi non siamo più nella condizione di poter lasciare che le cose succedano, e accorgercene come opinione pubblica solo quando colpiscono una figura conosciuta. Quei 65.000, quella persona ogni sette minuti, sono la somma di dolori che non possiamo non ascoltare, non vedere“.
Il Ministro ha concluso: “Morosini l’ho vissuto in prima persona, da presidente della Lega B, era un ragazzo di una nostra squadra. Vale per Bovolenta, vale per Astori. Tutti cercano di mantenere viva la sensibilità e l’attenzione. Per dare un senso a chi resta e al sacrificio di chi se n’è andato. Eppure non è mai sufficiente. Grazie a Edoardo, ma soprattutto grazie a chi non c’è più, alla loro memoria e al rispetto che dobbiamo a chi li ha amati e continua a vivere nel dolore. Vediamo se ce la faremo. Io sono fiducioso”.
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