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Pino e il Golden Boy: la favola della Lazio del ’74

La favola dei ragazzi del ’74 compie 50 anni. Di quella Lazio si è detto tanto: “Una squadra strana, folle“. In quei racconti si mescolano verità e leggenda, retroscena e mito. Storie di conflitti ma anche e soprattutto amicizie.

Fratello minore e fratello maggiore, talvolta anche padre e figlio: è la storia del rapporto che legava due protagonisti di quella squadra, Wilson e D’Amico. Giuseppe Wilson, per tutti “Pino” o “il capitano”, aveva il compito di tenere uniti tanti caratteri forti. Vincenzo D’Amico era il giovane pieno di talento, coccolato da tutti: lo chiamavano “Vincenzino”, o “Golden Boy“.

La classe inglese, l’ironia napoletana e l’aquila sul cuore

Com’è stato giocare con Pelé? È lui che ha giocato con me”. Una frase detta con il sorriso stampato sulle labbra. Pino univa la classe inglese e l’ironia meridionale. Era figlio di un soldato britannico di stanza in Italia e di una napoletana. Gentilezza e calore: non faceva mai mancare una parola di conforto, sia che si trattasse dei compagni che di un perfetto sconosciuto, incontrato per la prima volta in uno studio televisivo. 

Era così anche in campo: mai scorretto, mai morbido. Uno dei volti più rappresentativi di quella squadra, insieme a Chinaglia, detto “Long John” per la sua stazza, e insieme a Maestrelli, il Maestro, l’allenatore che tanto lo ha voluto come capitano. Uniti in vita e oltre: ancora oggi riposano tutti e tre insieme, nella stessa cappella, quella della famiglia Maestrelli. 

“Pino ti posso chiedere una cosa?”

Pino, ma come mai lo scudetto lo abbiamo vinto nel ’74 e non nel ’73?“. Era questa la domanda che Vincenzino rivolgeva sempre (col ghigno sulla bocca) al suo capitano, per farlo innervosire. Il riferimento era chiaro: l’anno prima il Golden Boy si era infortunato e non aveva giocato, quello dopo era stato un titolare. Quella di Vincenzo non era superbia. Si divertiva a scherzare con il suo amico e, a modo suo, a ringraziarlo

Sì, perché Pino ogni tanto “sgridava” Vincenzino ma come fa un fratello maggiore con uno minore, senza raccontare nulla al padre, al Maestro, Tommaso Maestrelli. D’Amico, originario di Latina, viveva per la sua Lazio. Basti pensare al suo primo gol: Chinaglia lo serve di tacco e Vincenzo mette in porta, il Golden boy si porta le mani alla testa e sembra quasi incredulo. Per capire ancora meglio si può anche raccontare del suo ritorno in biancoceleste, dopo una parentesi al Torino. Pur di vestire di nuovo quei colori, accettò di giocare in Serie B. Per giocare alla Lazio il Golden Boy non aveva dubbi: andava benissimo qualsiasi categoria.

Fratello maggiore e fratello minore

Il capitano e il Golden Boy avrebbero scelto la TV per ritrovarsi, nella mezz’ora di intervento di Vincenzino a Goal di Notte, la storica trasmissione della domenica sera di Michele Plastino. Il nastro dei ricordi si riavvolgeva: quando parlavano di “pallone“, i ragazzi del ’74 tornavano indietro nel tempo, erano di nuovo compagni di squadra. Scherzavano e si prendevano in giro come due ragazzini, anche nei momenti più difficili. Il ricordo stimolava il racconto, stringeva ancora di più il legame di chi aveva scritto la storia insieme.

Di padre in figlio: l’eterna favola biancoceleste

Nel 2018 Wilson era stato uno degli artefici della giornata “Di Padre in Figlio”. Una serata dedicata ai tifosi della Lazio e alle leggende di quella squadra, non solo quelle del ’74, per un ricordo da tramandare di generazione in generazione.

Domenica saranno 50 anni dalla storica impresa, dallo storico Scudetto. Vincenzino e Pino, purtroppo, non ci sono più. Eppure il loro ricordo non svanirà mai. I racconti su Pino e Vincenzino, come quelli di Long John e il Maestro, o quelli su Re Cecconi e Oddi, saranno trasmessi di padre in figlio. Come il tifo, la fede, o le favole della buonanotte.

Giuseppe Vignola

Classe 2001, ho sempre pensato che la gioia che può dare il calcio è imparagonabile a tutto il resto. Questa mia tesi, che può sembrare assurda, è stata avvalorata da un premio Nobel, Albert Camus, che disse: “Non c’è luogo in cui un uomo sia più felice che in uno stadio di calcio”. La felicità in uno stadio come tifoso l’ho provata, come calciatore non succederà mai, spero che quella da giornalista sia il mio futuro.

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