“El Tucu” scoprì l’Italia a 18 anni, ma il primo impatto non fu semplice: “Era la prima volta lontano da casa, ho fatto fatica ad ambientarmi”. Comprensibile. Nostalgia di varie cose: in primis di casa sua, paese di 20mila abitanti in mezzo all’Argentina, poi dell’Asado e infine di sua nonna, emigrata da Vicenza quando la bussola “nostrana” era fissa sull’America. Altri tempi. “Tucu” in versione “tristeza” anche a causa della neve, mai vista in vita sua, e del freddo pungente di Appiano Gentile: “La cosa più difficile da superare”. Forse più di Walter Samuel. Perché El Tucu Correa scoprì l’Italia nel 2012 grazie a un provino con l’Inter.
Niente Sampdoria, nessuna rete in Serie A e soprattutto niente Lazio, la sua prossima sfida dopo le due stagioni col Siviglia. Ora l’Italia chiama ancora, 3.0. Sperando che anche stavolta vada bene, come a Genova e nelle due settimane nerazzurre, quando Moratti se ne innamorò. Braida lo definì “il miglior giovane dell’Argentina”, il “pres” rimase colpito e offrì 2 milioni di euro per l’80% del suo cartellino. No dell’Estudiantes però, convinto di aver trovato il nuovo Veron, sostituito proprio da Correa nella gara d’addio. Staffetta, un intreccio tra presente e futuro. Esordio in prima squadra a 17 anni, primo gol a 19. Perla argentina, fantasista naturale sulle orme di Riquelme, suo idolo da sempre: “Ho indossato la 10 in suo onore, l’avrei guardato per ore senza stancarmi”.
Oggi il suo status è un po’ cambiato, gioca più da esterno che da 10, ruolo naturale imparato in Argentina. Dribbling facile e alta qualità, assist e superiorità numerica, 15 reti negli ultimi due anni col Siviglia, squadra dal talento estremo (quarta due anni fa, settima l’anno scorso e ai quarti di Champions). Imprevedibile, veloce di gambe e di pensiero, testa alta e fantasia. Qualità tucumana. Anche falso nueve con Sampaoli – “allenatore preparato e intelligente” – molte gare sulla fascia e altre da “enganche”, posizione che ricoprirà alla Lazio, “mirando” Luis Alberto. La sua del resto, ricoperta alla Samp grazie a Montella, ritrovato a Siviglia: 3-4-1-2, Correa dietro le punte a spezzare la monotonia, a offrire un po’ di brio. Sforna 4 assist, segna 3 gol e ne sbaglia uno clamoroso a porta vuota, contro l’Inter al Ferraris. Può succedere. Ma le qualità ci sono, il talento è evidente, lui “è riuscito a ripartire dopo quell’errore, trovando la sua continuità”.
A fine anno sposa il Siviglia per 13 milioni di euro, ennesima plusvalenza del tandem Osti-Pecini (Correa arrivò per circa 8). Valorizzato, capito, infine ripreso dopo 6 mesi opachi, in cui è dovuto ambientarsi nuovamente. Testa a posto: “Arrivo agli allenamenti un’ora prima, faccio palestra, cerco di prevenire gli infortuni, sono anche aumentato di peso”. Un homo novus. Anche grazie al golf, al padel e al solito mate, utili a rilassarlo nei momenti di stress. Quasi uno scacciapensieri. L’anno scorso ha giocato 39 gare in tutte le competizioni, 7 reti e 7 assist. Ha trascinato il Siviglia in finale di Coppa siglando 5 gol in 8 partite, ha segnato sia al Liverpool in Champions che all’Atletico Madrid. Ha personalità, rispetto a Felipe segna meno ma è quel giocatore lì, bravo a spaccare le partite con skills di qualità. Quello che serviva. Joaquin ha 24 anni, conosce la Serie A, è un vantaggio. Inzaghi voleva un giocatore già pronto e da inserire, la società ha spinto per un profilo giovane, valorizzabile negli anni. Tare ha scelto il Tucu Correa, di nuovo in Italia e per la terza volta. Milano, Genova, ora Roma. Almeno qui fa meno freddo.
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