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Dal calcio pro alla fabbrica e ritorno: Lancini, difensore senza paura

Le difficoltà non mi hanno mai fatto paura e se oggi mi guardo indietro penso che quei due mesi in fabbrica mi hanno dato tanto, ben più di tante partite di calcio“.

A parlare, dall’altro capo del telefono, è Nicola Lancini. 27 anni sulla carta d’identità, tante vite alle spalle. Più di 100 presenze tra Serie B, C e D, un salvataggio che a Brescia ricordano ancora oggi e un pit-stop in fabbrica, quando lo sport sembrava aver voltato le spalle. “Ho capito quello che provano milioni di persone che ogni mattina si alzano e fanno enormi sacrifici per mantenere una famiglia. Ho imparato che noi calciatori non possiamo ritenerci stanchi per due ore di allenamento che facciamo al giorno. Finché non lo provi non puoi spiegarlo con efficacia” spiega a GianlucadiMarzio.com.

Quell’addio con il Brescia

Facciamo ordine. E premiamo il tasto rewind nella carriera di questo difensore nato e cresciuto nel settore giovanile del Brescia. Fino alla prima squadra, con esordio in B nella stagione 2015/16. Passando in poco tempo da eroe a esubero. Per mesi i tifosi del Brescia giravano con l’immagine del suo salvataggio all’89’ della sfida-salvezza con il Trapani sugli schermi dei cellulari.

 

 

Era il 18 maggio 2017 e quella scivolata provvidenziale garantì ai biancazzurri la permanenza diretta in Serie B. Con il 2-2 il Brescia avrebbe dovuto giocare i play-out contro i siciliani. “Sono passato da quel salvataggio che mi ha reso l’idolo di Brescia per qualche mese a indesiderato“. Tutto è nato “con l’addio di Cagni e l’arrivo di Boscaglia in panchina – racconta Lancini – a tre giorni dalla fine del mercato mi hanno comunicato che sarei finito fuori rosa se non avessi trovato una soluzione e io, orgogliosamente e sbagliando, ho scelto di non scendere di categoria. Così per due mesi non ho visto il campo senza allenarmi con i compagni di squadra, almeno fino all’arrivo di Pasquale Marino“. Che gli riapre le porte del gruppo: “Nemmeno con lui ho mai giocato ma mi sentivo parte del gruppo“.

 

 

Sensazione che dura poco, fino al ritorno di Boscaglia: “Mi ha rimesso fuori rosa e di lì sono passato ad Andria“. Fidelis, serie C: “Ci siamo salvati, poi il club è fallito“. Estate 2018, prima sliding door. “Cercavo una squadra di Lega Pro che potesse puntare almeno a una tranquilla salvezza, così sono finito alla Virtus Verona“. Il destino volta ancora le spalle: “Alla settima partita mi sono rotto un legamento della caviglia, Sono andato a fare un consulto a mie spese a Perugia e sono riuscito a evitare l’operazione. Intanto, però, il presidente della Virtus mi aveva messo fuori rosa per liberare un posto in lista over“. Attesa lunga qualche mese: “Fino all’addio di Polverini, nel mio ruolo, che mi permise di tornare in campo almeno nel finale”.

Estate 2020, via gli scarpini: si va in fabbrica

A fine stagione, però, sul telefono di Lancini le chiamate latitano. “Trovo squadra da solo, vado alla Fermana e da novembre in poi gioco una dozzina di partite fino allo stop del campionato per Covid“. Altro giro, altra corsa. “Mi sono ritrovato ancora svincolato a giugno 2020, mi sentivo abbandonato da tutti e senza stipendio“.

 

Via gli scarpini da calcio, dentro i guanti: “Ho trovato lavoro in fabbrica vicino casa, a Cividate al Piano (provincia di Bergamo, ndr). Si trattava di un’azienda avviata da poco, dove cercavano personale giovane che lavorasse nell’assemblaggio di valvole per il gas e il petrolio. Mi hanno trattato benissimo e ho imparato tanto grazie ai responsabili“. Cava è stata, per ora, l’ultima tappa di un percorso tortuoso, ma che ha reso Nicola più forte: “Dopo cinque presenze con il Mestre ho ricevuto la chiamata della Cavese e del ds Lamazza – racconta – al Mestre si sono comportati da uomini veri. Conoscevano la mia situazione tecnica e personale, hanno ritenuto giusto darmi questa possibilità. Mi sono ritrovato in C e sei mesi prima mi allenavo senza contratto in D. Lo ritengo uno sbalzo enorme. Pochi giocatori credo abbiano vissuto questa esperienza“.

 

 

In coda a quella con la Cavese, invece, è arrivata una sorpresa: il 2 maggio, in occasione dell’ultima gara di campionato contro l’Avellino, gli Ultras Curva Sud Catello Mari hanno regalato uno spettacolo d’altri tempi all’esterno dello stadio. Cori e fumogeni a testimonianza che la fede sportiva e l’appartenenza non vengono intaccate dai cattivi risultati sportivi. “Non me l’aspettavo, è la prima volta che mi capita di retrocedere e sentire un messaggio di vicinanza del genere. Nonostante tutto, hanno voluto mantenere questa tradizione della torciata. Lo trovo ammirevole, davvero. Ci hanno dato un segnale in coda a un anno travagliato, con una retrocessione che è stata una ferita per tutti“. Come la scomparsa dell’allenatore in seconda Antonio Vanacore, morto per le conseguenze del Covid-19: “Avevamo un bel rapporto anche se ci siamo conosciuti per poco tempo – lo ricorda Nicola – superare questo dramma è stato difficile per tutti, da tutti i punti di vista”. 

“Le mie parole motivo di riflessione per tanti compagni”

Pensieri con lo sguardo al futuro: “Dopo tutta la sofferenza che ho provato, spero di trovare continuità. Sia a Mestre che alla Cavese ho raccontato la mia storia e tanti compagni hanno trovato nelle mie parole un elemento di riflessione” ci spiega Lancini in chiusura di conversazione. In una C con sempre meno liquidità, quasi una presa di coscienza. “Sicuramente è una categoria che ha bisogno di una mano – ammette Lancini – ormai si guarda più alla carta di identità che alle qualità tecniche. Nella scorsa estate, quando ho parlato con un paio di direttori di C, prima di chiedermi che ruolo facessi, mi chiedevano l’età. E questo rovina il tutto. I ragazzi devono giocare, ma se bravi“.

 

 

Parola di chi al Brescia vedeva crescere Sandro Tonali: “Già quattro anni fa aveva una personalità e qualità tali che capivi che avrebbe fatto strada, e tanta. Lui ha fatto il triplo salto, di categoria e contesto. Ha dimostrato la sua bravura, la sua personalità e le sue qualità. Per l’età che ha, è un fenomeno assoluto“.

Luca Guerra

Nato un anno prima della caduta del Muro di Berlino, mi piace rompere gli schemi dell'informazione. Laureato in Scienze della Comunicazione, giornalista pubblicista, scrivo quando e in ogni modo possibile: il sedile di un treno o il banco di un fast-food sono ottime scrivanie alternative. Il giornalismo la passione di una vita, il calcio come stella polare di questa passione.

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