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La chiave di Pep, gli appunti (segreti) di Mou, lo studio di Poch: tutto per Di Francesco, perché il Liverpool non è imbattibile

All’inglese o all’italiana. Come un giardino, o quasi. Da curare, senza lasciare nulla al caso. La strada per Kiev è, sì, lastricata di buone intenzioni ma dovrà essere anche battuta con un’attenzione tattica che non permetta di farsi trovare impreparati. Per non lasciare, più che strade, autostrade su cui Salah, Mane e Firmino non vedono l’ora di far girare il contachilometri. Alla Roma domani sera contro il Liverpool servono tre gol e allo stesso tempo sarà necessario non subirne. “La prepareremo bene, a partire dall’allenatore”, eccola la promessa di Edin Dzeko. Lo sa bene anche Eusebio Di Francesco: ribaltarla, anche tatticamente, come contro il Barcellona ma con in più – paradossalmente – il peso di un precedente come questo.

Ma a proposito di precedenti, la Kop ha dimostrato di non essere invincibile. E per dimostrarlo basta tornare un po’ indietro nel tempo, pur restando in questa stagione, e spostarsi in campionato perché se in Champions la squadra di Klopp finora non ha mai perso, in Premier League qualche defaillance c’è stata. Solo 4 le sconfitte riportate (contro Manchester City, Tottenham, Swansea e Manchester United), ma incassando in totale 12 reti: una media di 3 a partita, quante ne serviranno alla Roma nella notte dell’Olimpico.

Ko diversi tra loro, arrivati in momenti differenti della stagione, però con molti elementi in comune, alcuni dei quali evidenziati – in modo più o meno palese – dai manager che sono riusciti a piegare la Kop in campionato: Pochettino (4-1), Guardiola (5-0) e Mourinho (2-1). Un primo denominatore comune è il fattore trasferta: quel poker di sconfitte in Premier è stato riportato sempre lontano da Anfield. Tu chiamala se vuoi… l’importanza del muro rosso. L’ha capito presto Poch, quando Wembley iniziava ad essere la nuova casa degli Spurs e i circa 80mila che avevano riempito l’impianto proprio in occasione della sfida ai Reds hanno creato un’atmosfera difficile da sostenere per gli avversari. Stadio a parte, Pochettino allora aveva posto l’accento anche sui primi 15 minuti di gioco. Fondamentali. Il Liverpool è veloce, quindi che fare? Provare ad essere ancora più veloci, indirizzare da subito la gara come si vuole senza fargli prendere il controllo fin dai primi minuti. Detto fatto: in 12 minuti arrivò il 2-0 per il Tottenham. Tutto studiato. Poi? 4-1 il risultato finale. Difesa a 3, centrocampo a 5 con Aurier che comunque non ha avuto vita facile sulla corsia di Salah, e la coppia Kane-Son in avanti.

Jesus-Aguero, invece, il tandem offensivo anti-Liverpool di Guardiola. Difesa a 3 anche per Pep (con Danilo adattato al centro), con Fernandinho a fare da pendolo tra il reparto arretrato ed il centrocampo dei quattro titolarissimi. Manita all’Etihad: questo l’epilogo, seppur quel 5-0 sia stato anche ‘viziato’ in parte dall’espulsione al 37’ di Mane in seguito al fallaccio su Ederson. Un’altra partita, in 10 contro 11, ma “più semplice, non semplice” aveva sottolineato Guardiola in quel post gara. Differenza sottile. Ma al di là di quel rosso, per Pep allora la chiave fu “non farli giocare. Ai miei giocatori nell’intervallo ho detto: non fateli correre, non fateli correre! Non possiamo giocare tutta la partita facendo su e giù per il campo. Dovevamo avere la pazienza di trovare il passaggio giusto e non lasciarli giocare perché quando glielo lasci fare loro attaccano subito lo spazio perfettamente con il primo passaggio. E infatti all’inizio abbiamo avuto problemi a gestire Salah”. Chi, se non lui? E poi “the second balls”. Già, le seconde palle. Le stesse che Mourinho ha scritto tra i suoi appunti ‘violati’ dalle telecamere durante la sfida di Old Trafford contro il Liverpool lo scorso 10 marzo. Quest’ultima finì 2-1, risultato che non servirebbe alla Roma per staccare il biglietto per Kiev ma che portò 3 punti d’oro in quel momento ai Red Devils. ‘Seconde palle’ e ‘Rom’, ovvero Lukaku (Romelu) sull’agenda dello Special One: lancio lungo di De Gea, sponda del belga e inserimento rapido e verticale di Rashford (che poi farà doppietta). Ecco come arrivò il primo gol. Il secondo? Da uno sviluppo molto simile. Come battere i Reds, dal taccuino secondo Mourinho. Pensiero, parola (per iscritto) e atto.

“Il Liverpool è pericolosissimo. Voglio vedere il desiderio di andare oltre l’ostacolo, di fare un altro miracolo e dare qualcosina in più che è mancato nella gara di andata”. Tre ‘lezioni’, novanta minuti per applicarle e crederci, una serata per provare a (ri)scrivere la storia e impostare la destinazione Kiev.

Redazione

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