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L’Europa e Astori: Fiorentina, storia di una promessa mantenuta

Nell’annunciare in estate Vincenzo Italiano, la Fiorentina aveva preso in prestito la celebre canzone di Toto Cutugno. Entrambi con La Spezia nel destino, con il cantautore che a nove anni, proprio in quelle piazze e in quelle strade, si divertiva a suonare il tamburo. E’ diventato grande in Italia, poi in Europa vincendo l’Eurovision del 1990 a Zagabria. Un passo alla volta direbbe l’allenatore viola, che da noi ormai conoscono tutti e che da agosto potrà farsi apprezzare anche fuori, a partire dai preliminari di Conference League. Già, ha riportato la Fiorentina in Europa, da dove era sparita da cinque anni. Lo ha fatto battendo la Juventus, con cui in carriera aveva sempre perso, tre volte da novembre a oggi. Quella Juventus che con la Fiorentina non aveva vinto solo due delle ultime 16 partite di A. Lo ha fatto migliorando la squadra di 22 punti rispetto all’anno scorso, nessuno ha fatto un salto così. Lo ha fatto mettendo insieme 41 punti al Franchi, diventato un fortino secondo solo a San Siro quando ci gioca l’Inter (42 punti). E lo ha fatto salutando a gennaio Vlahovic, bomber da 17 gol in sei mesi di campionato rimpiazzato da Cabral, Piatek e Ikonè (sei reti in tre).

 

Ricordando Astori

“Siamo in Europa!”, grida lo speaker a fine partita. Poi tutti a metà campo con una maglia speciale che raffigura il volto di Astori. O in casa o in trasferta non cambia nulla per i tifosi della Fiorentina, che lo ricordano ad ogni tredicesimo minuto, come il suo numero. Sorriderebbe Davide, che ha giocato 14 partite di Europa League con il viola addosso e che, compiaciuto, darebbe una pacca sulla spalla a Saponara, Biraghi e Dragowski, gli unici suoi compagni rimasti dove li ha lasciati. Negli spogliatoi si fermerebbe un attimo anche con Chiellini, che ha finito la sua carriera juventina col sangue e il turbante, simboli di sempre. Colpa di uno scontro con Piatek in occasione del gol con cui Duncan ha sbloccato la gara. All’ultimo secondo del primo tempo, una sorta di contrappasso per la Juve vittoriosa all’ultimo secondo nelle gare di andata contro i viola sia in campionato che in Coppa Italia.

Duncan e quel legame con Firenze

Già, Duncan. Per lui Firenze è una famiglia nel vero senso della parola. E’ nato in Ghana, ma vive a Pescia, un’ora scarsa di macchina dal Franchi. In viola l’ha voluto Iachini, che lo aveva apprezzato a Sassuolo. Ma la sua storia comincia prima, quando papà Thomas e mamma Laetitita a otto anni lo mandano in un collegio a due ore da casa: “Stando da solo imparerai di più”, lo salutano così. Era il più piccolo, viveva soltanto lì dentro: dormiva, mangiava, studiava e giocava a calcio. A portarlo in Italia ci ha pensato lo zio, da lì il provino all’Inter con cui da boss (il suo soprannome) vince la NextGen Series e il campionato Primavera sotto le dritte di Stramaccioni. Nel mezzo i Giusti, ovvero Leonardo, Francesca e Niccolò. Rispettivamente il padre, la madre e il fratello adottivi, che fanno il tifo per lui dal primo giorno. Duncan ha battuto Perin con una sassata sotto l’incrocio, non a caso Spinelli – suo presidente ai tempi del Livorno – diceva che nel piede aveva la dinamite.

 

Torreira non voleva più giocare

L’ha chiusa Torreira, il sigillo sull’Europa ce l’ha messo lui. Da sempre lo paragonano a Pizarro, uno che con la Fiorentina si è spinto fino alla semifinale di Europa League. L’uruguaiano poco più di un anno fa, marzo 2021, voleva smettere con il calcio europeo. Troppo forte il dolore per la morte della mamma, portata via dal Covid: “Basta, riportami al Boca“, chiede subito al procuratore, desideroso di tornare a vivere con il padre e i fratelli a Fray Bentos. Che rabbia nell’esultanza dopo il rigore segnato a Pinsoglio: “Quando Davide (Astori, ndr) è morto, gli abbiamo promesso di riportare la Fiorentina in Europa”, spiegherà Biraghi nel post gara. Beh, sono stati tutti di parola. 

Simone Golia

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