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Koulibaly, “cittadino del mondo e napoletano verace. Ancelotti ha cambiato la nostra mentalità”

Anche nel nuovo Napoli di Carlo Ancelotti Kalidou Koulibaly si sta dimostrando una pedina chiave. Il difensore senegalese è un punto fisso della difesa azzurra ormai da anni e insieme ai suoi compagni spera di poter vincere presto un trofeo anche grazie alla mentalità che il nuovo allenatore ha portato nell’ambiente napoletano. In una lunga intervista rilasciata al Corriere dello Sport, Koulibaly ha così parlato proprio del momento del gruppo, delle ambizioni ma anche della sua vita nella città che per lui – ormai – è come se fosse casa sua.

“Sono nato a Saint-Dié-des-Vosges da genitori senegalesi che sono venuti in Europa per lavoro. Da bambino ho cominciato a giocare a calcio, avevo penso quattro o cinque anni, con i miei coetanei che abitavano vicino a casa mia. Altri senegalesi, arabi del nord, turchi, avevamo tutti un modo di giocare diverso e ho iniziato a giocare a calcio in questo ambiente. E così ho imparato molto. Come si impara dalle diversità, che sono sempre una ricchezza”.

“Sono arrivato in Italia cinque anni fa – continua il difensore – Benitez mi ha contattato quando militavo nel Genk in Belgio. Lui mi ha contattato nel gennaio 2014 e sono arrivato a giugno 2014. La Francia è un paese molto aperto, quando ero giovane stavo sempre in giro con persone di diverse nazionalità, culture, religioni. Ho ancora contatti con tutti i miei amici di allora, vengono spesso a Napoli e quando arrivano sembra loro di stare a casa. E questo mi fa molto piacere. Il Senegal? A casa mia non dovevamo recidere le nostre radici. Ho sempre avuto questa duplice educazione, francese ma anche senegalese. E questa diversità mi ha fatto diventare l’uomo che sono oggi”.

“Quando sono arrivato in Italia, a Napoli, dopo un anno e mezzo mi sentivo già cittadino napoletano. Perché io, Kalidou Koulibaly, sono, mi sento, francese, senegalese e napoletano. Da bambino avevo tante squadre che mi piacevano. Io sono cresciuto nel Metz, nel quale c’erano molti giocatori senegalesi, quindi io tifavo per loro. Ho avuto la fortuna di giocare là, quindi sono un grande tifoso del Metz in Francia. Ma mi piaceva anche il Marsiglia perché quando ero piccolo vinse la Champions League e mi entrò nel cuore”.

Poi si passa a parlare della sua avventura in Italia e in Serie A: “Benitez aveva visto qualcosa che nessuno aveva visto in me e di questo lo ringrazio molto perché è grazie a lui che sono arrivato a Napoli. La gente mi diceva, come dappertutto, che Napoli è pericolosa e tutte queste storie… Ma un mio amico che giocava nel Genk mi ha spinto: “Là si gioca la Champions, si gioca il calcio vero ed è una squadra per te”. Quando ho detto alla mia famiglia e agli amici che volevo giocare al Napoli, subito mi hanno detto che erano d’accordo e quando ho messo per la prima volta questa maglia sentivo orgoglio perché il lavoro, tanto e duro, che avevo fatto fino a quel momento ripagava. Ma ora sono io a sentire di dover ripagare la fortuna di esser qui con un impegno straordinario sul campo”.

“Era la prima volta che andavo in una grande città. Napoli è bellissima. Qua c’è il sole, c’è il mare, la gente ti accoglie con grande piacere. Vivono il calcio con passione, quasi come una febbre. Mi hanno accolto da subito. Quando dico che sono napoletano la gente ride, ma io mi sento veramente così perché quando sono arrivato fin dall’inizio mi hanno trattato benissimo e io di questo mi ricorderò sempre. Quando ho firmato la gente diceva che l’Italia è molto razzista. Io volevo rendermi conto da solo, non volevo ascoltare la gente, mi piace vedere le cose con i miei occhi”.

“Tra quello che pensa la gente o quello che dice e quello che è veramente la realtà c’è un mondo di differenza. Il mio portiere di casa, che si chiama Ciro, mi ha detto “Quando arrivi a Napoli piangi due volte: quando arrivi e quando parti”. Io gli ho detto “Non ho pianto quando sono arrivato ma se un giorno dovrò andare via, spero il più tardi possibile, è sicuro che piangerò”. Aveva ragione quando mi ha detto così, io sono molto felice qui. La gente parla a volte male di Napoli e non sa che cosa è Napoli. Quando non la vivi non puoi sapere che cosa è davvero”.

Sulla questione razzismo in campo, Koulibaly aggiunge: “In altri stadi è così, non a Napoli. Quando sono arrivato non li ho sentiti durante il mio primo anno, ma già dal secondo ho iniziato a rendermi conto e mi dava fastidio. I “buu” mi infastidiscono, non li accetto, perché non sono solo contro di me, per il colore della mia pelle, a volte sono anche contro “i napoletani”, la gente del Sud. Questo mi dispiace molto perché quando sei in un Paese dove tu devi trasmettere un senso di appartenenza e poi fischi contro la gente del Sud, o fai cori razzisti, finisci col contraddirti. Le faccio un esempio calcistico: quando uno come Insigne, che è un fuoriclasse assoluto, forse il migliore giocatore dell’Italia, è fischiato in alcuni stadi perché è meridionale, poi quando va in Nazionale come lo devi trattare? Io non capisco questo tipo di atteggiamento e spero che evolva velocemente. Stiamo cambiando, ma penso che dobbiamo ancora fare degli sforzi”.

“Un altro esempio: la Nazionale francese che ha tanti giocatori di colore, di altre origini, che hanno vinto il Mondiale. Per me questa è la cosa più bella che possa succedere. Perché io ho scelto di giocare per il Senegal? Parlando con i miei genitori, vedendo l’orgoglio nei loro occhi quando ho deciso di giocare con il Senegal, ho deciso e sono stato molto felice. Voglio portare avanti i miei valori. Giocando nel Senegal penso di poter aiutare il mio Paese. Ma anche me stesso perché i miei valori sono questi, sono convinto della bellezza della diversità. Il Senegal è una terra che si apre a tutti, tutti quelli che arrivano sono accolti come fossero senegalesi”.

Capitolo allenatori: “Differenza tra Benitez, Sarri e Ancelotti? Poca e molta. Poca perché sono tutti e tre grandi allenatori. Il calcio di Benitez e quella di Ancelotti si somigliano molto. Ho avuto la fortuna anche di giocare con mister Sarri e il suo calcio era per me veramente bellissimo. Lui mi ha permesso di vedere il calcio e le partite in un’altra maniera. La sua filosofia era concentrata sulla tattica, tutto era previsto con lui. Oggi, quando guardo una partita di qualsiasi squadra, non la vedo più come quattro o cinque anni fa. E lo devo a lui. Benitez mi ha fatto scoprire il calcio vero. Io ero in serie B in Francia, poi in Belgio, lui mi ha dato la possibilità di andare per la prima volta in serie A, in un campionato molto importante. Il suo calcio è molto simile a quello di Ancelotti perché sono allenatori che hanno vinto, allenato grandi squadre e la loro visone del gioco ha molti punti di contatto. Ancelotti, tutti lo conoscono, ha vinto molto, ma quello che mi sorprende di più è l’umiltà che ha ancora e anche la voglia di vincere che non smette di avere”.

Infine, obiettivi e ricordi: “Vincere è molto difficile ma stiamo provando. Il Napoli forse ti dà alcune cose ma ne toglie anche altre. Perché vinci e ci sono commenti positivi e forse ti rilassi e questo è sbagliato. Come lo è deprimersi per le critiche. Quello che abbiamo fatto l’anno scorso è stato veramente bello. Tutti dicevano che facevamo il calcio più spettacolare ma non siamo stati capaci di tenere la testa concentrata per vincere. Forse quest’anno mister Ancelotti ci dà quello mancava l’anno scorso: la mentalità, la voglia di stupire tutti”.

“L’avversario più forte che ho incontrato? Durante il mio primo anno quando giocavo contro Tévez, era veramente molto difficile. Ci sono altri attaccanti meno conosciuti che a me danno molto fastidio. Ma non dico i nomi, perché dopo se ne approfittano… Il calcio è emozione, soprattutto divertimento, perché senza divertimento penso che non puoi far niente nel calcio. Io voglio soprattutto far divertire i tifosi che vengono a tifare la nostra squadra. Il merito, in fondo, è tutto loro. Io gioco a calcio per questo, per dare emozioni ai tifosi. Quando li vedi felici tu sei molto contento, quando dopo la partita vai a cantare con loro sei molto contento. Penso che un bambino debba avere questa immagine: il calcio è divertimento, deve rimanere e continuare ad essere così”.

L’intervista completa sul Corriere dello Sport

Redazione

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