Continua il Festival dello Sport di Trento, evento organizzato da La Gazzetta dello Sport che vede presenti i principali volti dello sport italiano e non solo. Nella giornata di oggi, domenica 13 ottobre, è intervenuto anche Mario Kempes, allenatore di calcio ed ex calciatore argentino nonché campione del mondo con la nazionale nel 1978.
“In Argentina a quei tempi non esistevano i computer, non avevamo i videogiochi. L’unica cosa che avevamo era la scuola e la palla quando uscivamo da scuola. Questa palla era fatta da strofinacci o pezzi di legno. Gli argentini in generale sono sempre stati grandi appassionati di calcio. Non c’era neanche la televisione, solo la radio, noi ascoltavamo lì le partite. Non ho mai avuto un vero idolo anche perché noi immaginavamo il campo però in realtà non potevamo fare dei paragoni stra i giocatori“. Esordisce così Mario Kempes al Festival dello Sport di Trento.
Continua poi: “Prima di questo pomeriggio, quello che abbiamo fatto è stato molto importamte. Tutti avevamo avuto una piccola esperienza in Germania. Tutti gli altri avevano più esperienza ma nessuno aveva avuto la possibilità di giocare un Mondiale. Eravamo una Nazionale senza esperienza però con tantissima voglia. Tutti si fermavano per guardare una partita di calcio e noi dovevamo solo fare le cose bene. Abbiamo avuto fortuna perché in questo gruppo tutti volevamo la stessa cosa. Non pensvavamo di arrivare in finale, volevamo solo giocare con la nostra dognita e rendere noi stessi e il nostro popolo felici“.
Prosegue parlando del Mondiale del 1978: “La sera prima tutti pensavamo cosa potesse succedere il giorno dopo. Siamo riusciti a fare qualcosa che nessuno era riuscito a fare: giocare una finale in Argentina. Il giorno dopo ci siamo svegliati e quando siamo arrivati al campo vedevamo le persone molto felici. Noi eravamo diventati molto amici. Abbiamo avuto anche un po’ di fortuna“.
Altro tema importante è stata anche la situazione in Argentina in quegli anni: “Io stavo giocando in Spagna ormai da due anni. Non si sentivano molte notizie dei desaparecidos. Quando poi si è scoperto tutto, allora abbiamo capito cosa stesse succedendo. A quel tempo la politica argentina era così chiusa che nessuno faceva sapere niente. Ci hanno anche detto che la nostra vittoria era dovuta ai militari. Noi semplicemente rappresentavamo il calcio, non la politica. Il popolo argentino stava aspettando questa vittoria per risollevare gli animi anche se sapevamo cosa stava succedendo“.
Parla poi del loro allenatore: “Prima di Menotti, l’Argentina aveva cambiato molti allenatori. Lui però voleva portare a termine i suoi obiettivi. Lui, quando ci allenavamo, si sedeva sulla palla, parlava molto e poi facevamo l’allenamento. Noi credevamo molto in lui e infatti siamo riusciti a fare tutto ciò che avevamo programmato“.
Continua poi parlando dei Mondiali dell’82: “Mi ricordo molto bene di quel Mondiale. Abbiamo passato il primo girone per miracolo e poi abbiamo preso Brasile e Italia. C’erano molte persone nuove rispetto al Mondiale precedente. La mentalità non era la stessa e secondo me l’Argentina non si era preparata bene mentalmente. Quando siamo andati in Spagna avevamo un hotel spettacolare e avevamo anche la nostra famiglia vicino, a differenza del ’78. Anche io non ero lo stesso. Non eravamo così concentrati su quello che stavamo facendo“.
“Maradona? Un genio. In totale ne abbiamo avuti due, un sta ancora giocando adesso (Messi, ndr). Quando loro hanno la palla sanno già cosa fare, tu però non puoi prevederlo. Non puoi riuscire a capirli. Dopo Diego (Maradona, ndr) c’è stato Messi. Quando sono arrivato nel Mondiale del ’78 lui aveva appena iniziato e io non lo conoscevo. Quando l’ho visto giocare ho capito che era un genio, forse aveva solo quindici anni. Era un giocatore così diverso“.
Kempes parla poi di questo numero magico che ha indossato: “Io non ho chiesto il 10 in Argentina, mi è toccato per ordine alfabetico, quasi per caso. Non so cosa succede con quel 10. Molti mancini usano il 10, non so se è questa la differenza. Il 10 però è stato un numero rappresentativo dell’Argentina, dopo di me Diego e poi Messi. A un certo punto si voleva anche togliere questo numero in Argentina. Questo numero ti identifica come un giocatore diverso. Quando prendi la 10 è come se fossi sotto incantesimo“.
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