L’addio di Cristiano Ronaldo, il progetto giovani, i programmi futuri, le scelte di mercato e le ambizioni bianconere.
Federico Cherubini, responsabile dell’area calcio della Juventus, ha rilasciato una lunghissima intervista a Tuttosport nella quale ha affrontato diversi temi. Questi alcuni dei passaggi principali.
“Diciamo subito che margini per trattenerlo non ce n’erano. Certe decisioni non sono negoziabili e, in fondo, non sarebbe stato opportuno per il club che è importante di qualsiasi cosa e rimarrà sempre, al di là dei giocatori. Quindi, per il bene del club era giusto concentrarci sul futuro e non trattenere Ronaldo.
E la scelta di fronte alla quale ci siamo messi non era: esce Cristiano, come lo sostituiamo. Era: esce Cristiano, dobbiamo pensare ad anticipare un pezzo di futuro, quello che comunque avremmo costruito al termine di questa stagione, quando sarebbe scaduto il suo contratto. E così abbiamo fatto“, le parole di Cherubini.
Il dirigente della Juve ha poi proseguito: “Segnali prima dell’ultima settimana? Noi nella settimana prima di Udine avevamo segnali chiari sulla sua permanenza, per dire… Mendes a lavoro da giugno per trovargli una sistemazione lontano dalla Juve? Vero, ma con segnali diversi. Ovvero, con segnali che non c’erano prospettive.
Non voglio essere ipocrita e dire che gestire la situazione Ronaldo il 28 di agosto sia stato piacevole, se fosse successo un mese prima sarebbe stato meglio per tutti. L’abbiamo gestita a tre giorni dalla fine delle trattative, ma l’unico rischio potenziale è stato che un giocatore come Kean non fosse disponibile nell’ultima settimana di mercato”, le parole di Cherubini.
Cherubini svela alcuni retroscena relativi all’addio del portoghese: “Una volta che Cristiano Ronaldo ci parla nel modo in cui ci ha parlato, non ci può essere epilogo diverso. In quei giorni è stato molto diretto, esprimendo la sua volontà e noi, come ho detto, abbiamo reagito pensando al bene del club e non il bene immediato, ma nell’ottica di uno sviluppo di un piano che poteva iniziare prima. Non potevamo costringere una persona a rimanere in un contesto che non riconosceva più”.
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