L’11 luglio è ormai diventato un giorno da celebrare in Italia. Un giorno solo per ricordare due vittorie storiche della Nazionale. Quarant’anni esatti fa, al Santiago Bernabeu di Madrid, l’Italia allenata da Enzo Bearzot si laureava campione del mondo battendo la Germania Ovest per 3-1. “Non ci prendono più! Non ci prendono più!”, così urlò il presidente Pertini al terzo gol, segnato da Altobelli. Trentanove anni dopo, a Wembley, sotto gli occhi di un sorridente Sergio Mattarella, seduto accanto a un Berrettini fresco di una prima, storica, finale italiana a Wimbledon, la Nazionale di Roberto Mancini batteva i padroni di casa dell’Inghilterra ai calci di rigore, rendendoci campioni d’Europa per la seconda volta.
L’Italia del mondiale 1982 è stata, probabilmente, una delle migliori nazionali azzurre di sempre. Una vittoria storica, iniziata però in un modo non proprio “idilliaco”. Nella prima fase a gironi, giocata a Vigo, la squadra di Bearzot rischiò di uscire, in un gruppo dove facevano parte Polonia (poi sconfitta anche in semifinale), Camerun e Perù. Tre pareggi e tante critiche. Un clima teso, che portò la Nazionale a optare per il silenzio stampa: solo il capitano, Dino Zoff, avrebbe parlato (poco). Poi l’aria è cambiata. Nel secondo girone, l’Italia, inclusa con il Brasile di Zico e l’Argentina di Maradona, ha tirato fuori il suo meglio, proprio nel momento di maggiore difficoltà, come spesso è accaduto nelle storia della Nazionale. 2-1 all’Argentina, 3-2 al Brasile.
Tra le tante stelle, la più luminosa è stata quella dal nome meno esotico, il più comune tra gli italiani: Paolo Rossi. Convocato per volontà di Bearzot, Rossi arrivò al mondiale avendo giocato molto poco nelle precedenti stagioni. I dubbi sulla convocazione dell’attaccante toscano, però, sono stati volatizzati con tre gol, quelli alla nazionale verdeoro. A fine anno avrebbe vinto il Pallone d’oro.
L’atto finale del mondiale è andato in scena l’11 luglio di quaranta anni esatti fa. Il teatro? Stadio Santiago Bernabeu di Madrid, contro la Germania Ovest. Conclusione? Italia campione del mondo per la terza volta nella storia. La vittoria di un gruppo, costituito dal 40enne Zoff al 18enne Bergomi, racchiuso tutto in un’immagine, un urlo, quello di Marco Tardelli, dopo il gol del momentaneo 2-0.
Andiamo avanti nel tempo, fermiamoci a 365 giorni fa, quando l’Italia di Mancini, sotto il cielo di Wembley conquistò il primo Europeo itinerante della storia, battendo i padroni di casa dell’Inghilterra. Di nuovo l’11 luglio, trentanove anni dopo il mondiale ’82. Due eventi collegati da un fil-rouge, la giacca di Mancini, realizzata basandosi proprio su quella indossata da Bearzot nel mondiale di Spagna.
“It’s coming to Rome”, così urlava di gioia Leonardo Bonucci, miglior giocatore della finale, dopo la vittoria dell’Europeo. L’Italia di Mancini, nata sulle ceneri della mancata qualificazione al mondiale del 2018 (e che non si qualificherà nemmeno per quello del 2022), arrivò all’Europeo godendo di una lunga strisica di imbattibilità, che a novembre sarebbe diventata record. Un 4-3-3 impostato sul bel gioco, con la tecnica a prevalere sulla fisicità (compito affidato a Bonucci, Chiellini e Di Lorenzo). Fulcro del gioco degli azzurri il trio di centrocampo, formato da Barella, Verratti e Jorginho, terzo alla classifica del Pallone d’oro 2021 (e se non avesse sbagliato quei rigori…) che ha portato l’Italia a battere Turchia, Svizzera, Galles, Austria, Belgio, oltre a Spagna e Inghilterra ai calci di rigore, conquistando Euro2020.
Un’estate, quella scorsa, fatta da tante “Notti magiche”, la canzone di Bennato e Nannini che Insigne, che nell’Europeo ha reso il “tiraggir” un vero e proprio marchio di fabbrica, metteva nella cassa dopo ogni partita, facendo sognare milioni d’italiani. Sogno, ma tanta voglia, tanta concentrazione, talmente tanta da non far rendere conto a Donnarumma, dopo aver parato il rigore di Saka, di aver fatto vincere l’Europeo alla Nazionale. Un evento storico, esattamente un anno fa.
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