Alla fine è riuscito nel suo obiettivo: “Creare lo stile Roma”. Non aveva fatto i conti con il rovescio della medaglia, però. Lo stadio che fischia la sua immagine proiettata nei maxischermi, nell’ultimo giorno da calciatore della Roma di Francesco Totti. Novanta giorni dopo Luciano Spalletti ritorna all’Olimpico. A tre mesi da quel 28 maggio, nel quale lo stadio giallorosso si strinse intorno al capitano della Roma, voltando definitivamente le spalle all’allenatore in grado di conquistare più punti sulla panchina giallorossa in una stagione. 50 vittorie, 11 pareggi e 14 sconfitte dopo, Spalletti dice addio, o forse un arrivederci alla Roma. Colpa di due partite: la gara d’andata degli ottavi di Europa League contro il Lione e la semifinale di Coppa Italia contro la Lazio. Due partite che hanno segnato la stagione senza trofei della Roma: “Se non vinco, me ne vado”, le parole dell’allenatore toscano a gennaio. Promessa mantenuta e porte di Trigoria che si chiudono senza troppi ripensamenti.
In mezzo però c’è tanto di Spalletti nello “stile Roma”: Totti falso nueve, invenzione dell’inverno 2005, quando i giallorossi decimati dagli infortuni di Cassano, Montella e Nonda, schierano il numero 10 come unica punta. Perrotta l’incursore, le 11 vittorie consecutive e le notti europee di Lione e Madrid. Ma anche il 7 a 1 di Manchester e “gli equilibri.. e il tacco.. e la punta e il numero”, nella post partita di Roma-Juventus, l’ultima nella sua prima esperienza nella capitale.
Schietto e trasparente, maniaco della perfezione e della tattica. Rinchiuso dentro Trigoria fino a tardi: “Non voglio più arrivare secondo, sono tornato per completare il lavoro”, come un’ossessione. Lo Spalletti del “famo lo stadio”, ma anche quello che escluse Totti per la prima volta da una partita per scelta tecnica, spedendolo in tribuna. Lo Spalletti dei "giusti comportamenti” di Salah detto alla toscana, quello che è riuscito a trasformare Edin “cieco" in Dzeko e Nainggolan nel centrocampista più determinante della Serie A nello scorso campionato. Non è bastato, di fronte la miglior Juventus della storia, al suo sesto scudetto consecutivo e a chi ha voluto creare la divisione tra lui e Totti. “Mi sono sempre augurato di concludere la carriera con lui allenatore” le parole di Totti, prima dell’esonero dell'allenatore di Certaldo del 2009.
Desiderio realizzato, ma con l’amaro in bocca. Come nei sogni che si realizzano, ma non erano poi come credevi. Spalletti l’ultimo allenatore di Totti. "I fischi che ho preso domenica io non li merito”, come una colpa che cancella quanto di buono fatto fin lì. Ma c’è spazio anche per la speranza del lieto fine, citando Califano: “Non escludo il ritorno”, nelle sue ultime parole da allenatore della Roma a maggio. Novanta giorni dopo, ritorna, ma alla guida dell’Inter. Altri ricordi di una finale di Coppa Italia del 2008, di un Roma-Inter. L’ultimo trofeo alzato da Francesco Totti e vinto dalla Roma, sulla panchina proprio Luciano Spalletti. Ritorna con la voglia di dimostrare quello che poteva essere e non è stato. Sulla panchina dell’avversario dei suoi anni migliori. Quello che non gli ha permesso di completare il lavoro: vincere lo Scudetto, il suo unico vero rimpianto da allenatore della Roma.