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Data: 06/11/2016 -

Sampdoria, Muriel: "Basta illusioni, questo è l'anno giusto. Vi racconto di Totti e Ronaldo..."

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Nel 2012 si era scatenata un'asta per assicurarsi il "nuovo Ronaldo". Dopo appena due stagioni di Luis Muriel si erano quasi perse le tracce: a Udine più che per i gol il colombiano si era reso famoso per il suo peso. Delusioni e illusioni che più di una volta Luis ha dovuto affrontare in carriera. Muriel si è raccontato nel corso di una lunga intervista concessa a La Gazzetta dello Sport:

"Vorrei eliminare questa parola perché è quella che mi sono sentito rinfacciare di più: ho illuso e poi deluso. Gli altri, ma prima me stesso: ero al Lecce e si parlava di Milan e Inter, ero all’Udinese e sembrava mi volesse l’Atletico Madrid, addirittura il Barcellona. E invece: grandi inizi, grandi cali. E facevo stare male anche chi aveva puntato su di me: mio padre e Alessando Lucci, uno di famiglia più che il mio procuratore. Ma ora 'basta illusioni', questo è l’anno. Non so cosa e quando mi è scattato in testa, però mi sono detto: 'Se fallisci, se l’aspettano tutti: stavolta stupiscili. Non con una giocata nuova: con una testa nuova' ". Sicuramente Luis non è rimasto deluso il giorno che ha ricevuto i complimenti di Totti: "Quando ho segnato in Roma­-Samp 3-­2, a settembre Francesco Totti si è complimentato. In Sudamerica si dice così, si deve dire così, nome e cognome: Francesco Totti è uno dei signori della storia del calcio italiano, e continua a farla. Calcio puro: per la qualità delle giocate e per il tipo di vita che è riuscito a fare in questo nostro mondo. Quel giorno ho fatto gol con un destro al volo incrociato, su lancio di Regini. Stavo tornando a centrocampo e sento urlare: 'Bravo Luis'. Penso: 'Sarà uno dei miei'. Mi volto e ancora: 'Bravo Luis', solo che stavolta vedo che è proprio lui. Francesco Totti a me: ma vi rendete conto?".

Muriel torna sui momenti cruciali della trattativa che ha portato al riscatto da parte della Sampdoria: "Ostaggio proprio no, ma quasi. Ferrero veniva tutti i giorni, e se non veniva mi telefonava: 'La mia carriera è nelle tue mani'. 'Ma come, presidente: è la mia che è nelle sue'. Dieci giorni chiuso dentro un hotel di Nervi, vedevo solo anziani in vacanza, sarò uscito tre volte per fare una passeggiata al mare. Ero infortunato, Samp e Udinese dovevano accordarsi sul prezzo: facevo fisioterapia, telefonavo, aspettavo e mi disperavo, tutto lì dentro. 'A Udine non torno, piuttosto vado in Colombia', e Ferrero sempre la stessa frase: 'Tranquillo, resti qui'. Cosa mi disse il giorno dell’affare fatto? A lui devo molto, anche mantenere questo segreto: frasi ir­ri­pe­ti­bi­li".Sul peso del numero nove della Samp si è discusso parecchio: "Mai stata una dannazione, semmai un luogo comune nato a Udine quando non facevo bene. Il mio peso forma è da sempre 82­-83, a Lecce ero 83 e andavo come un treno: quando Guidolin disse che ero grasso pesavo 84, peccato che sceso a 81 se ne parlava lo stesso. La verità? C’è chi ingurgita di tutto ed è secco come un chiodo, tipo Cuadrado, mentre io appena mangio un po’ di più ingrasso: è genetica. Non nego che mi piace, ma per fortuna non amo i dolci, da piccolo ero allergico alla cioccolata. Certo, scoprire le trofie al pesto non è stato un aiuto".

Il legame con la Colombia è rimasto forte: "A Santo Tomàs ci sono le mie radici. Così forti da tenermi legato lì come se non me ne fossi andato a 14 anni. O forse proprio perché me ne sono andato così presto. Sa quante vacanze ho cancellato perché alla fine le faccio a casa? La mia vita è lì: c’è tutto quello e tutti quelli a cui penso quando sono felice oppure triste. Famiglia, amici, i miei quattro cavalli che presto saranno cinque perché una è incinta. Le partite a calcio, le albe seduti fuori di casa: domino, musica, balli. E’ cambiato solo che non mi devo più arrangiare per pagarmi il biglietto del pullman e andare ad allenarmi. La mia voce la conoscevano tutti: strillavo per vendere le frittelle della nonna ma mi vergognavo, e allora sono passato ai biglietti della lotteria e ad aiutare lo zio, controllore sui pullman. E poi non accompagno più papà in macchina: in Colombia i tassisti spesso vengono rapinati, l’ho convinto a smettere prima che capitasse anche a lui. Però ogni volta che prendo un taxi mi viene un po’ di nostalgia".

Dribbling? Che goduria: "Il mio procuratore diceche godo più per un dribbling che per un gol. Nulla è come un gol, ma un po’ ha ragione: quando vedo lo spazio, prendo la palla e vado uno contro uno, è un momento di felicità dentro la partita. E non è che una partita sia così piena di momenti felici. Non tutti gli allenatori la pensano così: Guidolin mi sgridava, 'Gioca più semplice', Cosmi invece mi diceva 'Vai e divertiti'. Eforse i dribbling migliori li ho fatti a Lecce: il più bello con il Siena, il più importante con la Roma, sulla linea laterale ho saltato De Rossi e Heinze e ho segnato da 30 metri. Ero felice, sì". Oltre al dribbling pochi altri vizi: "Non bevo, non fumo e andare a pesca con mio padre sugli scogli di Pieve Ligure non mi pare un vizio. Pigro? E non sa cosa mi diceva mia madre disperata quando non mi alzavo per andare a scuola. Oppure Cuadrado a Lecce se dovevamo uscire: bussava alla porta per mezzora e non lo sentivo. Ma il record di pigrizia l’ho stabilito a Granada: a letto dal venerdì pomeriggio al lunedì mattina. Però c’è un vantaggio: mai insonnia prima di una partita, neanche la notte prima dell’esordio in A".

Idolo? Ronaldo, il fenomeno: "Cosa ho io del più grande? Forse qualche movenza, l’accelerazione palla al piede, ma poi? Il primo a usare questo paragone fu Cosmi: siamo in ritiro e ridanno in tv il gol che avevo segnato a S.Siro. 'Sai chi segnava così tutte le domeniche? Ronaldo'. Risi, come quando mia moglie guarda foto o video e mi fa: 'Sembri lui'. Il mio idolo, ma ci ho messo 15 anni a conoscerlo: avevo sì e no 9 anni, raccattapalle in un Colombia-­Brasile, e non feci in tempo a dargli la mano perché uscì subito dall’altro lato del campo. Finalmente gliel’ho stretta l’anno scorso, e per la vergogna ho rischiato di non riuscirci. Coppa America in Cile, avevamo appena battuto il Brasile e lui era nel nostro hotel, implorai Cuadrado di andare avanti al posto mio: 'Fai una foto con lui?'. A me non usciva la voce per chiederglielo: volevo dirgli mille cose e non spiccicai parola: bocca chiusa, come un bambino di tre anni".



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