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Data: 26/02/2016 -

Massimiliano Esposito: "Lascio la Nazionale di Beach Soccer. Vi racconto la mia carriera, quanti errori..."

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Si dice che "chi non sa fare insegna", ma forse questo non è il caso di Massimiliano Esposito. Lui che i risultati li ha sempre portati a casa, dentro e fuori dal campo. 42 anni, un esordio in serie C2 fino all'arrivo in serie A come attaccante e centrocampista, in una carriera straordinaria. Prima nella Reggiana, poi nella Lazio fino ad arrivare al Napoli. Un percorso che forse, per la giovane età e la mancata determinazione, gli è costata una retrocessione in serie B e un unico rammarico: "Se tornassi indietro – dice - non smetterei più di giocare". Poi, sorridendo con il tono di chi ha già fatto i conti con se stesso, inizia a raccontare di cosa, oggi, occupa le sue giornate. Allenatore fino all'estate scorsa della Nazionale Italiana di Beach Soccer, attento papà di tre bambini per i quali sarà sempre un campione e la passione positiva verso il futuro, il quale, ne è convinto, lo porterà a raggiungere grandi risultati. Ieri un calciatore, oggi uno stimato allenatore che guardandosi indietro vede “la passione, tanti sacrifici, miei e della mia famiglia – racconta - Sono nato a Napoli e accade in tante famiglie della mia città, vivevo in una situazione economicamente instabile. Il mio obiettivo era venirne fuori”. Un obiettivo che accomuna molti giovani ma lui che ne ha allenati tanti storce il naso: “Vedo poco di me in loro – abbassa gli occhi, quasi deluso - c'è poca passione rispetto ai miei tempi. Sono andato via di casa a 14 anni, ho lasciato tutto lì, anche la mia adolescenza. Se non sei disposto a farlo, allora stai lottando per il sogno sbagliato”. Errori. Durante la carriera, le scelte sono fondamentali. Alcune saranno giuste, altre sbagliate e visto che gli sbagli in un percorso di crescita sono inevitabili, bisogna sperare che non siano anche decisivi. Passione, sacrificio, maturità, Esposito sembrava avere tutte le carte in regola: ma dopo il passaggio in serie A, qualcosa è andato storto. “Ho lasciato la Lazio dopo un solo campionato disputato, avevo davanti tre anni di contratto. Il passaggio da un ambiente familiare come la Reggiana a quello più complesso e blasonato della Lazio necessitava di un carattere forte e determinato ed io a 24 anni non lo ero ancora. Qualche anno dopo il mio trasferimento, la Lazio vinse lo scudetto. Ero già troppo lontano e nel calcio non si torna indietro”. Un errore non facile da superare quando si tratta di andare avanti. “L'autocontrollo mi ha aiutato. Oggi alleno e mi rendo conto che sono due realtà completamente diverse. Quando sei un giocatore il pensiero è singolare, pensi solo a te stesso. Quando alleni devi entrare nella testa di 20/22 giocatori, preparare allenamenti, partite, studiare i singoli e la squadra, l'attenzione al piano B, la comunicazione con la stampa, con la dirigenza e a te stesso per riuscire a mantenere un equilibrio che non è poi così scontato”. Beach Soccer e la ripartenza, un mondo vicino e lontano allo stesso tempo. “La differenza sta nella spettacolarità delle partite e dei risultati: una gara nel Beach non finisce mai in parità, difficile uno 0-0. Tanti gol e molti di questi in acrobazia”. La famiglia è importante, nella vita di Esposito ricopre un ruolo fondamentale. Ma lui da bambino era… “Un ragazzino che si emozionava nelle partite a due, tra le macchine parcheggiate per strada. Uno che lanciò il pallone a 100 mt di distanza raggiungendo uno specchietto laterale, fu la volta in cui iniziai a lavorare dal salumiere del quartiere per ripagare il danno! Il bello delle partite sotto casa era che non finivano mai, ore ed ore interminabili, sospese unicamente per causa pallone bucato”. Oggi, Esposito ha lasciato dopo 5 anni la Nazionale di Beach Soccer con l'obiettivo di tornare come allenatore lì dove tutto è iniziato. Perché la forza di un atleta e di un allenatore, in fondo, è saper ricominciare e lui, che di rinascite se ne intende, vuole tornare in quel calcio di Serie A che in un tempo non troppo lontano gli regalò un sogno, forse ancora tutto da scrivere. Intervista di Giulia Sulis


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