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Data: 23/02/2018 -

L’Arena sotterranea, la RedBull e il “divieto” di portare un libro allo stadio: viaggio nel modello RB Lipsia

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Una giornata passata a Lipsia, dalla mattina alla sera, apre gli occhi verso una nuova realtà. Ci troviamo nel mezzo della Sassonia, una regione che non offre particolari bellezze artistiche e ambientali. Ma la città è davvero un gioiellino, piccola e accogliente. Fin dalle prime ore del giorno, diversi baracchini servono i famosi Bratwurst, accompagnati dall’immancabile senape. Un must da queste parti della Germania. Una cittadina storica e piena di scorci incantevoli. In tutto questo, la RedBull ha deciso di mettere le mani sulla squadra della città, che dal 2009 è l’RB Leipzig, meglio nota come RB Lipsia dalle nostre parti.

Il Lipsia è la quarta squadra che la RedBull ha deciso di creare: dopo i RedBull Salisburgo, sono susseguite il RedBull Brasil e i famosi New York Red Bulls. La multinazionale austriaca si è dovuta però scontrare con una legge tedesca che vieta l’accostamento di sponsor al nome dei club (tranne per esempi a lungo termine come quello del Bayer Leverkusen) e per questo motivo la sigla “RB” sta a significare “RasenBallsport”, letteralmente “Sport della palla su prato”. Tra l’altro i tifosi del Lipsia chiamano la squadra in questo modo, ma l’intento della RedBull è stato chiaramente un modo furbo e intelligente per aggirare questa regola.

Detto questo, l’azienda austriaca ha deciso di formare una squadra competitiva fin dal subito e nel giro di sei anni sono riusciti ad arrivare alla Bundesliga partendo dalla Quinta Divisione tedesca avendo acquisito il titolo sportivo dal Markranstädt. Al primo anno in Bundes (stagione 16-17) è subito secondo posto, grazie ad una campagna acquisti di primissimo livello (Naby Keita e Weimer su tutti). Così il Lipsia si qualifica immediatamente alla Champions, anche se come sappiamo non andrà oltre alla fase a gironi. Insomma gli enormi investimenti stanno avendo successo anche a livello sportivo.

Come ogni squadra targata RedBull, il Lipsia usa come colori sociali il bianco e il rosso, ed il blu è il terzo colore. E a proposito di RedBull, la Uefa ha ammesso (un po’ a sorpresa) il Lipsia alla fase a gironi di Champions. Secondo lo statuto Uefa infatti, due club “collegati” come nel caso di Lipsia e Salisburgo, non possono partecipare alla stessa competizione. In tale caso si qualifica la squadra meglio piazzata in campionato (sarebbe stato il Salisburgo). L’indagine ha però portato entrambe le squadre a qualificarsi, perché ritenute autosufficienti ed autonome l’una dall’altra.

La RedBull oltre ad i giocatori ha investito tanto a livello di infrastrutture. Centro sportivo e stadio sono stati completamente acquisiti e si trovano a poche centinaia di metri di distanza. Il Lipsia però si è dovuto scontrare con la regola della federazione tedesca del “50+1” che obbliga i club a far partecipare tifosi e cittadini comuni ai consigli di amministrazione del club. Prima del 2014 infatti il club era in mano esclusivamente a dipendenti e persone legate al mondo RedBull. Dopo questo cambiamento, il Lipsia ha così aperto le sue porte ai tifosi, senza però grande successo, contando solamente poche centinaia di persone. Mentre, dall’altro lato, società storiche come il Borussia Dortmund ne contano più di 100mila. Il motivo? Economico (le quote di acquisto sono molto più alte della media) e sociale (scarsa empatia tra società e ambiente).

Lo stadio, la RedBull Arena, acquisto totalmente nel 2016, ha invece una lunga storia. Nato come Zentralstadion, era l’impianto del governo della Germania Est, e poteva contenere fino a 100mila persone. Si giocava a calcio (il Chemie e il Lokomotive lo utilizzavano), ma era anche casa dell’atletica leggera. Inaugurato dopo soli 15 mesi di lavori nel 1956 (180mila volontari impegnati) venne costruito sopra una collina artificiale di 23 metri, a sua volta creata con 1.5 milioni metri cubi di macerie della seconda guerra mondiale dei palazzi del centro bombardati pochi anni prima. Uno stadio che quindi oltre ad essere stato “storico” per lo sport tedesco, aveva anche un significato profondo a livello umano. Dopo la demolizione a fine anni Novanta, la città di Lipsia decise di costruire uno stadio dedicato al calcio, anche in vista dei Mondiali del 2006. Un’impianto che, a sua volta, è stato costruito sulla traccia del vecchio Zentralstadion, sempre in cima alla “collina delle macerie” e fa parte del complesso "Sportforum Leipzig”, in cui altri impianti costituiscono la zona della città dedicata allo sport. Arrivando alla RedBull Arena si possono ancora vedere i vecchi ingressi, grandiosi e monumentali, che ricordano l’architettura razionalista di matrice nazista.

E qui arriviamo all’ultima cartolina di questo viaggio: la partita. Risultato a parte, l’atmosfera non ha nulla a che vedere con quella degli altri stadi in Germania. Sicuramente più fredda (e non per i -2 di giovedì sera) e più vicina al modello statunitense di calcio rispetto a quello europeo. Del resto da una squadra chiamata RedBull ce lo potevamo anche aspettare. Di sicuro però non ci aspettavamo gli scarsi controlli all’ingresso: batterie, alimentatori e microfoni ammessi. Libri no: vedere per credere…

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