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Data: 18/04/2016 -

Da Domodossola alla Champions League in Oceania, 'Violino' che storia! "Mare, calcio e preghiere. Vi racconto la mia esperienza..."

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‘Ma che ore sono lì?’, ‘Ehm, fra poco vado a dormire’.  Facciamo veloce dai, giusto due domande per capire, conoscere una realtà diversa, affascinante. D'altronde lo diceva anche Dante, ‘Fatti non foste a viver come bruti…’. Va beh, basta sennò Antonio Violi ci lascia e va direttamente a dormire. “No no, tranquilli. Anche perché non è facile, qua alle 3 di notte sono 30 gradi”. Realtà diversa, clima tropicale, terzo indizio e identikit svelato: ha giocato la  OFC Club Championship. Una sorta di Champions League, in Oceania.

Eh sì, proprio così. Nove mesi fa, Antonio Violi, detto Violino (no paragoni con Gila please, il nostro protagonista è un centrocampista) ha fatto una scelta di vita importante, per seguire il proprio sogno. “Ho lasciato casa, gli amici, la mia Domodossola per trasferirmi qui, in Oceania. Ora vivo nell’Isola di Vanuatu”. Alt, dove? Ammetti che per conoscerla bisogna essere davvero bravi in geografia… “Lo ammetto, lo ammetto. Diciamo che si trova davanti all’Australia, ma è uno Stato a parte. La squadra nella quale gioco è l’Amicale Fc e non facciamo il campionato australiano, ma un altro con le altre squadre dell’arcipelago, in tutto siamo 10 club. Qui funziona in maniera un po’ particolare, - racconta Violi a GianlucaDiMarzio.com -  nel senso che si comincia con la prima parte del campionato, poi c’è la Coppa Nazionale, che peraltro abbiamo vinto, a seguire la Champions League dell’Oceania e infine la seconda parte del campionato. In realtà, però, la Champions è la competizione che conta di più. Devo dire che siamo andati molto bene, poi ieri è arrivata la beffa. E che beffa!”. Prego… “Qui c’è l’Auckland che è una sorta di Barcellona europeo, sono tipo sette anni che vince questa competizione. Ieri abbiamo perso contro di loro, potevamo andare in semifinale. Poi ci hanno segnato all’ultimo minuto e non è la prima volta che mi succede. Qualche anno fa, quando giocavo nel Bellinzago perdemmo il campionato nell’ultima partita e all’ultimo minuto”.

Mi sa che da quelle parti ti hanno fatto qualche macumba strana… “Sì, infatti. Lo stavo dicendo a mio papà, mi sa che sono io che porto sfiga (ride)”. Beh, ma hai di che consolarti: mare, sole e fermiamoci qui. “In realtà i primi mesi è stato difficile adattarsi, lasciare casa e andare in un Paese totalmente diverso, poi io sono giovane dai, sono un ’93. Comunque il mare è bellissimo, io vivo in hotel e ho la finestra sul mare, fantastico. Mi mancherà, anche per abituarmi al clima italiano ora sarà difficile, qui è sempre caldissimo. Le mie giornate tipo? Sveglia, colazione, palestra, pranzo, allenamento. Normale. Ma qui ci trattano in tutto e per tutto da calciatori professionisti, a noi italiani poi…. Pensano che siamo gli inventori del calcio, siamo quasi venerati. Quando esco la gente per strada mi chiede foto, autografi. Quello che un po’ manca forse è lo svago e anche il cibo italiano. Riso e pollo in continuazione, provano a fare la pasta ma lasciamo perdere”.

Sorride Antonio, ogni tanto si ferma. Pensa e poi fa lui la domanda, ‘ma lì in Italia com’è la situazione? Il tempo?’. Si capisce che gli manca, ci tornerà, ‘da uomo’. Perché per quanto possa sembrare banale, è vero: viaggiare aiuta, apre le mente, espande gli orizzonti. “Sono cresciuto, sono cambiato tantissimo, sia dentro che fuori dal campo. Prima ero un ragazzo troppo nervoso, istintivo, qui invece ho capito tante cose”.

Ecco, appunto, il campo. Parliamo di calcio, come si vive là? “In maniera molto diversa rispetto all’Italia. C’è molta meno pressione, non c’è la cultura del risultato anche se poi allo stadio c’è sempre tanta gente, 8/9mila persone almeno. Lavoriamo in maniera diversa, anche se avendo un mister italiano gli allenamenti sono più o meno quelli. A dir la verità abbiamo un po’ portato il nostro modo di vivere il football, anche perché qui siamo quattro italiani e diversi sudamericani. Ma nel complesso ci sono tantissime differenze, anche a livello societario esistono pochissime figure. E poi abbiamo un’usanza particolare, che mi mancherà davvero tanto”. Che so, pensi alla danza Maori… “Sì, la fanno. Ma non è quella! Dopo ogni partita e ogni allenamento preghiamo tutti insieme. I ragazzi intonano una canzone e tutti li seguiamo. Ogni volta mi vengono i brividi! Da queste parti sono molto attaccati alla religione, ai valori per quanto la società sia fortemente disomogenea: ci sono i ‘ricconi’ che hanno le ville sul mare e chi vive nei villaggi di legno”.

Parla quasi al passato, ‘Violino’ , soprannome che dall’Italia si è portato a Vanuatu, ma perché? “Eh perché prossima settimana torno a Domodossola, la mia esperienza qui è finita. Mi dispiace e mi mancherà, ma ora voglio continuare a inseguire il mio sogno, voglio vivere il calcio come lo viviamo noi anche se non mi dispiacerebbe fare un’altra esperienza all’estero, magari in Belgio o in Spagna. Comunque non finirò mai di ringraziare Marco Banchini che è il mister che mi ha portato qui e Cataldo Bevacqua”.

Pieno di entusiasmo, felice come un bambino per aver giocato quella Champions lì. Entusiasmo contagioso, ragazzo col sorriso. Ama il mare, “non riuscirò più a farne a meno”, non la scuola. Vuol fare il calciatore, quello vero, come il suo idolo Claudio Marchisio (in bocca al lupo!). Ma soprattutto vuole continuare a sognare…Antonio, non smettere mai di sognare!



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