Breve e intenso: come non crollare nel secondo tempo
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Data: 27/02/2018 -

Breve e intenso: come non crollare nel secondo tempo

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Senza tattica e tecnica non si va da nessuna parte? Vero, ma c’è dell’altro: un elemento imprescindibile. Lei, la condizione fisica. Non un fattore da ridurre alla sola preparazione atletica estiva (leggi qui quella migliore per una squadra di calcio), bensì molto di più. Perché velocità, resistenza, forma e salute del giocatore sono la base su cui costruire prestazioni super. Sì, senza questi fattori la questione tecnico-tattica salta. Per questo noi di GianlucaDiMarzio.com oggi abbiamo deciso di andare oltre facendoci strada grazie al migliore degli alleati: la biologia umana. Con noi, inoltre, ha deciso di partecipare fornendoci delle preziose testimonianze Claudio Tozzi – massimo esperto di preparazione atletica sulla forza in Italia e autore di BIIOSystem, libro bestseller sull’allenamento. Prima, però, è giusto partire da un concetto unico, prezioso, ma allo stesso tempo sottovalutato: “E’ ormai universalmente riconosciuto, che i giocatori dei top club giocano troppe partite in una stagione. Partendo da questo presupposto capiamo che considerare come allenamenti efficaci, sessione lunghe e frequenti rappresenti un paradosso. La partita oltre ad essere l ́evento determinante per il lavoro del calciatore è anche l'allenamento più duro e stressante. L'intensità della partita è infatti difficilmente riproducibile in allenamento e per questo un calciatore, per essere al top della forma deve giocare con continuità; sfido chiunque ad asserire il contrario. Se accettiamo questo come un dogma, possiamo decidere di programmare il microciclo di lavoro con occhi differenti". Parole dette a caso? Niente affatto. Il protagonista di questa chiave è Francesco Mauri, preparatore atletico dello staff di Carlo Ancelotti, un allenatore che di certo non ha bisogno di presentazioni (leggi qui l'intervista in cui si parla del suo metodo di allenamento).

Tozzi, ma quindi per avere una prestazione costante durante l’anno – senza calare nei secondi tempi – cosa bisognerebbe fare? “Ascoltare il fisico dei propri giocatori, soltanto questa sarebbe una scelta vincente. Quella del duro lavoro sul campo, del continuare ad andare oltre il limite, è davvero una scusa ridicola”. Spiega Tozzi: “Oltre una certa soglia di chilometri percorsi dal giocatore – e ci sono i dati UEFA che lo dimostrano, più quelli degli studi scientifici, l’infortunio o il calo fisico è inevitabile. Se un giocatore sfiora la soglia massima di chilometri con le partite obbligatorie in settimana, durante i giorni di allenamento lo si dovrebbe fermare. L’utilizzo del famoso GPS servirebbe proprio a questo: misurare i chilometri degli atleti per non far loro superare i propri limiti. E non solo per quanto riguarda gli infortuni, ma anche per quanto riguarda la fatica: con l’obiettivo di farli riguadagnare energia per la partita. E soprattutto, nel caso di giocatori che ciclicamente si fanno male ci sarebbbero molti meno problemi. Farà strano ammetterlo, ma la sfortuna non c’entra nulla. I cali di condizione e gli infortuni dipendono dai troppi chilometri percorsi dai giocatori rispetto alle leggi della biologia umana. In particolare la miglior performance, farà strano leggerlo, si ottiene con molte meno ore di allenamento e con una maggiore intensità e qualità. Il tutto seguito e accompagnato da un adeguato recupero e riposo”.

Roba impensabile, forse, allo stato attuale del nostro calcio, dove il concetto del ‘duro lavoro fisico’ - quasi sempre pronunciato come fosse un dogma – è il sovrano assoluto di tutti gli allenamenti. “E per recupero – oltre alle sedute di stretching – si intende proprio il totale riposo a casa. Inoltre sono gli allenamenti non differenziati a rovinare i giocatori. Per esempio, fare palestra tutti assieme, con lo stesso peso leggero (leggi qui l’importanza dell’allenamento personalizzato con i pesi per la forza) non porta ad alcun risultato. Stesso discorso per la parte atletica: tutti a fare ostacoli, circuiti estenuanti, ripetute e giri di campo, ma il problema è che ogni giocatore ha una caratteristica genetica di forza-resistenza-stacco diversa da ogni suo compagno. Per alcuni giocatori ci sono dei tipi di allenamento che per caratteristiche personali sono inutili all’incremento della performance. Un esempio possono essere i test atletici che periodicamente le squadre sono obbligate a svolgere, bene: questi lavori di routine affaticano soltanto il muscolo, sporcandolo per la partita. Insomma, l’allenamento andrebbe fatto solo per il miglioramento della prestazione. E non tanto per dire ‘ci siamo allenati’. C’è la paura di riposare, di stare a casa: purtroppo però correre sempre, tutti i giorni, non porta a risultati. E a dimostrarlo sono i fatti, alla luce di continue sconfitte di chi afferma ‘eppure stiamo lavorando duro’...



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Tags: Serie A



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