Iraola: “Il mio Bournemouth come Frankenstein”
Dal documentario “Bournemouth, don’t call it Cinderella anymore”: la nostra intervista all’allenatore basco.
“Se il mio Bournemouth fosse un libro lo paragonerei a Frankenstein“.
Se non avesse fatto l’allenatore, Andoni Iraola avrebbe aperto una libreria: “Mi è sempre piaciuto leggere, è un modo di “scappare” un po’ dalla pressione del calcio“.
Ama il ciclismo (“Il calcio avrebbe molto da imparare“), ha studiato Giurisprudenza e da allenatore ha un mantra: “Non dare agli avversari il tempo di fare ciò che vogliono“. Curioso e aperto a nuove culture, vorrebbe anche imparare una nuova lingua: “Spero di riuscirci, penso che non sia così diverso dallo spagnolo, dico sempre che coi calciatori italiani, portoghesi, brasiliani, anche se non conosco la loro lingua, siamo in grado di comprenderci a vicenda. Invece è molto difficile con i tedeschi e i francesi, non riesco quasi a capire nulla di quello che dicono. Sono stato in Italia varie volte in vacanza, e mi piace molto come paese. Sarebbe bello fare questo passo avanti, imparando qualcosa di italiano, sicuramente”.
Bournemouth è il capitolo più bello della sua storia, e quando lo racconta gli si disegna un sorriso sul volto.
La nostra intervista ad Andoni Iraola, allenatore del Bournemouth
Un’autobiografia che ha tre parole chiave. “Credo di essere stato un calciatore di qualità. L’ho sempre detto: credo di essere stato meglio da calciatore che da allenatore. Io mi sento ancora calciatore. Per descrivermi come allenatore, sceglierei la parola “assistente”. Sono un assistente dei calciatori; sì, direi “assistente”. E come persona… beh direi che sono un uomo semplice“.
L’esperienza in campo e fuori è segnata dalle radici basche: “Per me il fatto di essere basco, e perdipiù di giocare nell’Athletic, mi trasmetteva senso di appartenenza. C’è l’orgoglio di essere a casa tua, nell’Euskadi (i Paesi Baschi, ndr), ed è comunque qualcosa che si può traslare negli altri club in cui sono stato. Ho avuto la fortuna di stare in club come il Rayo Vallecano dove c’è un senso di appartenenza molto forte, e qui a Bournemouth lo stesso. Si tratta di un club molto piccolo nel contesto della Premier League, ma coltiva il suo orgoglio, quello di una storia che per la maggior parte non è stata in Premier League ma in categorie inferiori, ma la gente ne va orgogliosa“.
Sì, Bournemouth. Il presente di Iraola è il Vitality Stadium e il quartiere di Boscombe: “Sono venuto qui principalmente per due ragioni. La prima: volevo provare la Premier League. Da calciatore non ero riuscito anche perché non volevo lasciare l’Athletic, quindi non c’è mai stata l’opportunità di venirci. La seconda: il modo in cui mi hanno parlato. Avevano analizzato molto dettagliatamente le mie squadre precedenti, mi volevano qui per replicare quello stile. Non erano solo i risultati insomma, sono venuti da me e sostanzialmente mi hanno detto: “Ci piace il modo in cui fai giocare le tue squadre, ti abbiamo visto al Rayo Vallecano e al Bournemouth vogliamo fare qualcosa di simile”. Quella è stata da subito la sfida principale. Sono molto felice: ormai sono qui da due stagioni, penso che sia anche il modo in cui questo club prova a evolvere, anche acquistando nuovi calciatori – io per esempio mi trovo molto bene coi giovani, provo ad aiutarli a migliorare, anche se poi magari finiranno a giocare in squadre più grandi. Si tratta di un percorso che possiamo fare bene, anche quando ero al Mirandès avevamo una squadra veramente giovane, e percepisco che anche qui ci possano essere sviluppi simili“.
Lettura, ciclismo: le passioni di Iraola
Uomo colto e mai banale, Iraola coltiva diverse passioni lontano dal campo. Una di queste è la lettura: “Da calciatore, quando dovevo fare dei viaggi mi portavo sempre un libro, era una forma di evasione; e l’ho sempre fatto con piacere. Quando sono in una città mi piace sempre entrare in una libreria, girare un po’ le corsie, comprare libri che alla fine non hai mai tempo di leggere tutti ma che comunque tieni in casa”.
Iraola ha anche studiato Giurisprudenza all’università. “Non ho portato a termine il percorso perché era qualcosa che non mi piaceva, ma sono sempre stato uno studente più o meno bravo, ho sempre seguito i corsi, ma una volta avviata una carriera calcistica di alto livello diventava molto difficile portare a termine il percorso, soprattutto alla fine quando sarebbe servito il praticantato, le udienze… e credo che sia qualcosa che non porterò a termine, perché non mi piace particolarmente“.
Nel tempo libero, Iraola segue anche un altro sport, il ciclismo: “Nei Paesi Baschi è una passione diffusa. Il ciclismo ha forse una più forte componente individuale rispetto al calcio: vince un solo corridore, anche se fa parte di una squadra, mentre nel calcio raggiungiamo tutti lo stesso risultato. Nel ciclismo c’è uno spirito collettivo che è la cosa più importante, perché in fondo tutti devono lavorare affinché il leader arrivi più riposato, perché prenda meno aria addosso, per ridurre il distacco dagli altri ed esporlo il meno possibile. Sono sport diversi, ma io credo che l’impegno e il tempo che un ciclista dedica alla professione, il modo in cui la vive, sono cose che noi dobbiamo imparare: vivono la loro disciplina 24 ore al giorno, sono attentissimi al peso, al riposo, ecc. Ci sono cose che il calcio può imparare dal ciclismo“.
Da allenatore si autodefinisce “assistente”, ma i princìpi del suo calcio sono chiari e limpidi. C’è una parola che può riassumerli tutti: intensità. “Per me la squadra è l’aspetto più importante, serve avere un collettivo, tutti devono dare il proprio contributo affinché la squadra migliori: dall’allenatore ai medici, passando per i calciatori di movimento e il portiere, quelli che giocano così come quelli che non giocano. Per me è questa la base da cui partire. In secondo luogo, a livello calcistico, siamo una squadra che prova a fare in modo che nella partita accadano molte cose, normalmente viaggiamo a un ritmo molto alto, più giochiamo vicino alla porta avversaria e più ci sentiamo a nostro agio. È un modo di difendere attaccando, una strategia che riduce il “volume difensivo” da sostenere e che ci fa stare bene in campo“. Ma perché giocare contro il Bournemouth è così difficile? “Proviamo a renderlo complicato. Alcuni diranno che non lo è così tanto perché ci hanno battuto facilmente… La nostra intenzione è non dare agli avversari il tempo di fare ciò che vogliono, di applicare i loro schemi, di tenere le posizioni; siamo una squadra che pressa alto, che lotta per le seconde palle, che ti obbliga a prendere decisioni veloci; penso che in questo modo le partite non siano molto facili per i nostri avversari. Questo è ciò che proviamo a fare“.
Per praticare questo calcio, servono soprattutto calciatori giovani: “Per una realtà come il Bournemouth è molto difficile per esempio avere i migliori giocatori di 24, 25 o 26 anni… quindi dobbiamo prenderci dei rischi, scovare quei calciatori quando hanno 18, 19, 20 anni, quando ancora non hanno fatto il grande step. Dobbiamo avere fiducia in loro quando non sono ancora dei prodotti finiti. Li invogliamo a venire qui, fare con noi questo primo step in Premier League; se poi proseguono con noi tanto meglio per tutti, soprattutto per noi… Ma anche se non finisce così si tratta comunque di un percorso a cui siamo abituati, e per i calciatori credo sia molto positivo“.
Come dice Tiago Pinto, Iraola ha reso il Bournemouth un caso di studio. Un piccolo club, con uno degli stadi più piccoli della storia della Premier, capace di battere tutte le big. Quella che sta vivendo il club del Dorset è già oggi un’annata storica. “Se dovessi scegliere una partita in particolare… ne indicherei due. La prima è quella casalinga contro il Manchester City, perché era novembre e per loro è stata la prima sconfitta stagionale; dopo quella ne hanno subite altre, ma in quel momento sembrava quasi impossibile battere il City e noi lo abbiamo fatto, qui al Vitality Stadium. Sceglierei anche la vittoria a Newcastle; abbiamo vinto 4-1, giocando davvero molto bene. Sì, penso che siano le due partite che mi rendono più orgoglioso in questa stagione“.
Il sentimento prevalente per Iraola, anche quando pensa ai tifosi, è l’orgoglio: “Molti tifosi qui si stanno godendo il momento storico del club, perché l’hanno seguito in League Two, League One, in Championship… Ora penso che tutti si stiano godendo l’opportunità di giocare qui contro grandi squadre del campionato ogni due settimane. Spero che possiamo rimanere a questo livello per molto tempo, stabilizzarci come club di Premier; anche questo impianto verrà migliorato con l’aggiunta di tribune e posti a sedere. E penso che in questo modo aumenterà anche l’amore per il calcio in questa città“.
A cura di Andrea Monforte e Lorenzo Bloise