Massimo Moratti è ricordato e verrà sempre ricordato come uno dei presidenti più vicini alle loro squadre, come uno dei migliori presidenti di un club di calcio in Italia. Per i trascorsi con la sua Inter, i trofei vinti, i campioni acquistati, ma non solo: anche per la sua personalità e il suo essere sognante con il calcio.
“Il calcio, al di là della passione, era la distrazione da altri pensieri. Con il calcio i sogni vengono facili. Come quando compri un giocatore e immagini segni il gol dell’anno dopo due secondi e mezzo, ti aspetti sempre nuove meraviglie“, ha detto nella sua intervista al Corriere dello Sport.
La confessione che Massimo Moratti offre subito è legata all’acquisto della società tra il ’94 e il ’95: “Mi piaceva pensare a come avrebbe potuto essere. Prendere l’Inter non era nemmeno tra le intenzioni, allora. Come avrei fatto, chi avrei venduto, chi avrei comprato, questo risposi“. Di campioni ne ha comprati, magari anche per questo, alle volte, è stato restio a venderli: “Vendere non mi veniva molto bene (ride), però Ronaldo e Ibra furono grandi operazioni, autentici investimenti“.
Poi, l’appunto, proprio su questi due fenomeni: “Ronaldo del ’98 non è descrivibile con accenti umani, era baciato da Dio […] Ibra era il capo, dava anche ottimi consigli. Ancora oggi, a quarant’anni, non sembra cambiato“.
Ad ogni modo, l’Inter a cui è rimasto più legato è quella del triplete del 2010, perché: “Offenderei chi ha vinto tutto se ne indicassi un’altra. Quella di Ronaldo, Zamorano, Recoba e Djorkaeff però mi è rimasta nel cuore“.
Tra gli allenatori che sicuramente Moratti ricorderà col sorriso c’è il nuovo allenatore della Roma, lo Special One, Josè Mourinho: “Sta facendo bene alla Roma. Lo presi perché mi ricordava Herrera, mi divertiva il fatto che, come il Mago, fosse diverso, provocatorio, abilissimo nel comunicare, molto intelligente“.
Infine, poi, Moratti ha ricordato anche l’esperienza con Roberto Mancini in panchina, prima di diventare il ct campione d’Europa con la nostra Italia: “Il suo pregio può essere anche un difetto: l’emozionalità. Perdemmo con la Lazio e me lo trovai nello spogliatoio che piangeva in un angolo, le lacrime facevano capire che ci teneva tremendamente a far bene“.
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