“Penso che ormai i ritmi del campionato, della Champions e tutto il resto, non mi permettano di giocare sempre. E siccome non ce la faccio ad aspettare il mio turno in panchina… Se non mi sento importante preferisco stare a casa. Per rispetto della società e di me stesso meglio lasciarsi e fare un’esperienza diversa. E’ il momento giusto per andarsene”. Per quanto possa sembrare paradossale, per assaporare appieno la grandezza di Alessandro Nesta bisognerebbe partire dalla fine, dal modo in cui ha deciso di dire basta al calcio ‘vero’ facendo scendere il sipario su una carriera irripetibile.
Un’uscita di scena nel suo stile, sussurrata, quasi a non voler far troppo rumore. Giù la tenda, scarpini appesi al chiodo o quasi. Perché Montreal e Chennaiyin rappresentano solo un’appendice, l’occasione per continuare a giocare solo per il piacere di farlo: senza stress, lontano da certi ritmi, distante anni luce dalle pressioni. Un’uscita di scena decisa a febbraio del 2012 e rispettata a maggio dello stesso anno. “Addio Milan, qui dieci anni meravigliosi ma ora è il momento di andare”. Nessun ripensamento, nonostante solo un mese prima il ricordo di una prestazione quasi eroica in marcatura su Leo Messi al Camp Nou.
Campione meraviglioso, Sandro Nesta. Colpo di testa, senso della posizione, anticipo, tecnica, velocità, capacità di capire con una frazione di secondo d’anticipo l’evolversi dell’azione; doti abbinate a quel modo quasi unico di dirigere la difesa, frutto di una personalità che non ha mai avuto bisogno di urla, creste o tatuaggi per emergere. Il tutto condito da un’eleganza quasi ‘sprecata’ su un campo di calcio. Un’esperienza di piacere per gli occhi, da vivere e assaporare, ammirare e gustare. E poi riguardare ancora, perché davanti a tanta bellezza si fatica a distogliere lo sguardo.
“Avesse avuto il fisico di Maldini!”. No, Sandro Nesta è stato unico anche per questo. Muscolatura fragile, infortuni a catena: uno dietro l’altro, quasi a dover pagare tributo per tanta grazia ricevuta. Alcuni così gravi da far avvicinare intorno a lui più volte le nubi di un ritiro anticipato. E poi spazzato via, sul campo, con i fatti. Cadute e risalite, altalena sempre oscillante tra la polvere e la gloria. Dalla Coppa Italia con la Lazio, primo trofeo alzato al cielo nella stagione 1997-1998, alla Supercoppa Italiana con il Milan, ultima conquista datata 2011-2012. Nel mezzo tre scudetti, due Champions, un Mondiale per club e uno con la Nazionale azzurra. Ma no, anche elencandoli tutti i trofei vinti, non renderebbero ugualmente merito a tanta grandezza. Perché Nesta è andato oltre: come successo a pochi, solo ai più grandi.
Una carriera con il cuore diviso a metà, tra il primo grande amore Lazio, coltivato sin dalla nascita e da cui è stato costretto a separarsi in un giorno di fine agosto del 2002, con il cuore in gola e gli occhi pieni di lacrime mentre fuori da Formello i tifosi imploravano alla sua Smart di fermarsi. “Non è colpa mia, io qui ci sarei rimasto a vita”, quasi a giustificarsi. Fino ad arrivare al matrimonio rossonero, celebrato su un balcone dell’Hotel Gallia in una Milano rovente di passione. Luna di miele durata dieci anni, viaggio di nozze con Manchester, Atene e Yokohama come tappe indimenticabili di un percorso da incorniciare. Poi il 31 agosto del 2015 l’inizio della nuova vita in panchina, da allenatore dei Miami FC: “E’ tutto diverso, ho avvertito molto il passaggio dal campo alla panchina. Quando smetti di giocare è un momentaccio, ci vuole tempo per accettarlo ma è inevitabile, te ne accorgi. Ho ancora l’istinto di tornare in campo e affondare qualche tackle, ma poi ti fermi, perché non ce la fai neppure ad allacciarti le scarpe.”
A novembre 2017 l’addio alla panchina dei Miami FC: “Grazie di tutto, sono pronto per una nuova sfida”, che sarebbe potuta essere il Crotone, la Serie A. Italia nel destino e quella sensazione di un ritorno solo rimandato. Ma ora basta ricordi, ora è tempo di soffiare sulla torta, dove da spegnere ci sono 42 candeline. E allora tanti auguri Sandro, sinceri. Cin cin, brindisi appena accennato. Senza far troppo rumore, quasi a non voler disturbare. In fondo, non c’è mica bisogno di urlare. A quello ci sta già pensando la storia.
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