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“In Norvegia la parità è molto importante”. Così il Paese scandinavo ha dato il via ad una rivoluzione di genere

Le pari opportunità, nel calcio, sono lontane anni luce. A turno qualcuno prova a ridurre la distanza verso questo obiettivo; ma ancora non si sono prese misure davvero rivoluzionarie. C’è chi però ha fatto un passo decisamente importante nella direzione di un interesse che dev’essere di tutti, dalle istituzioni ai genitori di una bambina che sogna di diventare una calciatrice. E’ di qualche giorno fa la notizia che dal 2018 la Nazionale di Calcio femminile norvegese sarà retribuita come quella maschile. Precursori, innovatori, forse solo più sensibili e rispettosi della causa, i vertici del calcio di Oslo hanno raccolto consensi e attestati di stima, e la notizia ha fatto il giro del mondo.

Per onestà intellettuale bisogna dire che questa piccola grande rivoluzione è stata possibile sia per volere delle istituzioni e del presidente della Federcalcio maschile di Oslo Joachim Walltin, sia per il gesto dei colleghi calciatori che per rendere possibile la parità d’ingaggio tra loro e le “Quote rosa” hanno rinunciato a una parte del loro stipendio. Che sarà anche esigua visto che ammonta a poco più di 50 mila euro, ma è il gesto più dell’entità della somma che fa la differenza.

E così i Nazionali di Oslo, che finora avevano incassato come collettivo di squadra l’equivalente di circa 697 mila euro all’anno, scenderanno a circa 639 mila euro. Walltin ha commentato così la svolta epocale in cui si sono avventurati con convinzione: “La Norvegia è un Paese dove la parità è molto importante, quindi credo sia un bene per il nostro Paese e per lo Sport”. Le reazioni nella Nazionale femminile non si sono fatte attendere: Caroline Graham Hansen, in squadra dal 2011, ha postato sul suo profilo Instagram una foto dei colleghi accompagnata da parole di gratitudine: “Grazie per aver fatto questo passo per noi. Per aver dimostrato equità ed averci aiutato tutte a inseguire i nostri sogni. A farli avverare!”

La strada è ancora molto lunga, ma con prese di posizione come quella della Norvegia sarà più facile rendere il calcio femminile una professione a tutti gli effetti e non un’attività alternativa al lavoro, allo studio e a qualsiasi occupazione che garantisce a queste professioniste uno stipendio mensile adeguato. Non è difficile seguire le orme di Oslo e non ci vuole nemmeno tanto coraggio; servono invece consapevolezza e sensibilità nei confronti del calcio che viviamo oggi. Che è fatto di uomini e donne animati dalla stessa inesorabile passione: quella del pallone.

Redazione

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