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Iličić: “La mia Atalanta ha cambiato la storia a Valencia. Siamo stati un esempio”

Josip Iličić

La lunga intervista al calciatore sloveno a La Gazzetta dello Sport

Slovenia è casa. “Mi ha dato il pane. Sono nato in Bosnia, ma non ricordo nulla. Mio padre è morto quando avevo un anno e mezzo. Sono cresciuto con mio fratello e mia madre, che mi ha insegnato a lottare. I miei colpi, il mio sinistro, sono nati per strada”. La Serie A il campionato che lo ha fatto diventare grande. Nel mezzo le angosce e la paura di rimanere solo. La malattia e l’ultima sfida della carriera a Capodistria, con il Koper.

In una lunga intervista alla Gazzetta dello Sport, Josip Iličić si racconta senza filtri. “Ritiro? In realtà ci ho pensato, ma conosco il direttore e il presidente da 25 anni. Quando mi hanno chiesto di dargli una mano ho accettato subito. Finché sto bene fisicamente me la voglio godere. Chiuderò la carriera in Slovenia”.

Un lungo cammino: dalle prime partite con il Bonifika all’Italia. Con la maglia del Palermo. “Il ds del Maribor mi chiamò in ufficio dopo la gara d’andata in Slovenia. ‘Ti abbiamo venduto’, disse. ‘Dove?’, chiesi io. ‘Non ti possiamo dire nulla’. Non sapevo cosa dire a mia moglie. Si parlava del Napoli. Mi diede il contratto da firmare due giorni prima del ritorno. C’era la bandiera del Palermo. ‘E se faccio gol?’. Alla fine, segnai e non esultai”.

Lo sloveno ricorda una grande squadra e un presidente che lo ha aiutato nei momenti più complicati: “Avevo un grande difensore: il presidente Zamparini. Era innamorato del mio calcio, come di quello di Pastore, di Miccoli, di giocatori che hanno sempre mostrato qualcosa di diverso. Mi proteggeva. Quando le cose non andavano bene mi invitava a casa, mi mandava a prendere con un aereo privato e mi diceva che aveva trovato l’allenatore giusto per me. Tempo un mese e l’aveva già mandato via. Con quella squadra avremmo potuto fare molto di più”.

Prima Firenze, poi l’arrivo a Bergamo

Il periodo più tormentato? Iličić non ha dubbi: “Gli anni con la Fiorentina sono stati complessi. Mi dispiace dirlo, ma coi fiorentini ho chiuso. Mi hanno sempre criticato facendo leva su quanto fossi stato pagato, ma in quattro anni sono stato due volte il miglior marcatore e il miglior assistman. Ero scarso? Sul serio? Siamo arrivati quarti e non bastava. Abbiamo fatto una semifinale di Europa League… e non bastava. Anche lì resta il rimpianto di aver perso una finale di coppa. Detto questo, ho ancora casa a Firenze, città top. Ogni tanto la mia famiglia ci va”.

Poi, c’è una chiamata che gli svolta completamente la carriera: “Avevo chiuso con la Sampdoria, ma il giorno prima delle visite mi telefonò Gasperini. ‘Vieni a giocare per me?’, chiese. ‘Mister, vado a Genova, non posso’. ‘Ti chiamerà Sartori, tranquillo’. Quando gli dissi quanto avrei guadagnato lui mi rispose ‘e quindi? Che problema c’è?’. Lì ho scoperto cosa significa fare un ritiro con Gasperini”.

Pallone Serie A

Atalanta, Valencia e il COVID

Ma cos’è stata quell’Atalanta? “Due anni fa ho incontrato Paratici a Londra. Mi disse che avevamo l’attacco da scudetto. Lì ho capito tutto. Io, il Papu, Muriel, Pasalic…avremmo potuto giocare a occhi chiusi e avremmo comunque fatto gol. Cos’abbiamo fatto noi non l’ha fatto nessuno. Eravamo forti, magici. Due gol ad Anfield, cinque al Milan, cinque al Parma. A quel gruppo è mancato un trofeo. Abbiamo disputato due finali di Coppa Italia, ma quella del 2019 è come se non l’avessi giocata”.

Valencia-Atalanta è senza dubbio la notte che lo sloveno ricorderà per sempre. “In molti mi dicono: ‘Ma se non fosse successo ciò che è successo, il covid, la depressione e tutto, dove saresti arrivato?’. Non lo so, ma saremmo arrivati in finale di Champions. Ero in uno stato di forma mai visto e non avevamo paura di nessuno. Viene il Real? Ok, ma dimostra che sei più bravo di noi. Questo era il nostro pensiero. E l’Atalanta, a Valencia, ha cambiato la storia del calcio. Siamo diventati un esempio. E nel frattempo il mondo iniziava a fermarsi, spegnendo la luce…”.

Poi il buio e la malattia. “Non sapevo se sarei tornato a giocare, e quando sei chiuso in casa allora inizi a pensare. Sono stato 42 giorni a Bergamo senza la mia famiglia. Ho sofferto. I soldi, i contratti, non mi importava più di nulla. Non stavo bene. E le voci su mia moglie mi addoloravano. Niente di più falso. Ma si può pensare che io avrei trovato mia moglie con un altro? Ha ricevuto insulti incredibili”.

In piena pandemia, ci sono state istantanee che hanno segnato per sempre la sua vita: “Alla fine, sono tornato a casa. In Slovenia era come se il covid non ci fosse, mentre a Bergamo sfilavano le bare nei camion. Un’immagine tremenda. Io tra l’altro qualche anno prima avevo vissuto il dramma di Astori, con cui giocai anni alla Fiorentina. Mi ha segnato”.

Il rapporto con Gasperini

“Io non posso dimenticare ciò che ha fatto per me”. Il riferimento è a Gasperini. “Nel 2018 fui ricoverato in ospedale per un’infezione. Avevo paura di non svegliarmi. Lui dopo una settimana mi disse ‘Josip, alzati che dobbiamo giocare’. ‘Mister, non sto in piedi’. ‘Non mi interessa, stai in campo’. Lo fece anche a Valencia. Dopo il terzo gol chiesi il cambio, lui mi ignorò e segnai il quarto. Mi ha spinto oltre i limiti che pensavo di avere”.

Iličić da Pallone d’Oro? “Non parlo mai di me, però ero in gran forma. Non so se fossi da Real Madrid, ma nel 2010, a Palermo, misi piede in palestra per la prima volta. Magari se l’avessi fatto già a 17 anni…”.

Gian Piero Gasperini

L’addio all’Atalanta

“Col Napoli era fatta, parlai con Ancelotti, poi Percassi bloccò tutto. Mi chiamarono anche Milan e Bologna, con il povero Mihajlovic. Ma non piango: meglio da protagonista a Bergamo che uno dei tanti in una cosiddetta big”. E dopo cinque stagioni lo sloveno lascia Bergamo e l’Italia: “Colpa dei tendini. Il saliscendi col peso fu terribile. Non ero più come prima. Provai punture, cure, ma niente. Nel 2022 Monchi mi chiamò a Siviglia per due anni e mezzo di contratto, ma gli dissi che non ce la facevo più a reggere certi ritmi. Alla fine, sono tornato a Maribor. Ero triste, ma al tempo stesso felice di tornare a casa dopo 12 anni. Nel 2023, quando i tifosi sono venuti a trovarmi a Maribor, mi sono commosso. Quando ti avvicini alla fine della carriera inizi a capire cos’hai fatto”.

Il ricordo di Iličić a Bergamo rimarrà per sempre indelebile. C’è un momento che lo testimonia. “Quando sono andato a vedere Atalanta-Real Madrid, nel 2024. Pensavo che la gente si fosse dimenticata, e invece i tifosi cantavano. Me lo disse anche Modric. ‘Non giocavi, ma lo stadio era tutto per te’. Con quel gruppo ci sentiamo ancora, anche se siamo sparsi per il mondo. Ci è mancato un trofeo, ma sono felice di aver visto l’Atalanta vincere l’Europa League del 2024. Quando avrò più tempo mi farebbe piacere rivedere tutti. Abbiamo fatto cose folli. Davvero folli…”.

Redazione

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