E’ stata una delle notti più buie della sua carriera, in tutti i sensi. 27 giugno 2016, l’Argentina cade di nuovo contro il Cile. Un’altra Coppa America che se ne va, un’altra finale persa, la terza su altrettante possibilità. Finisce 4-2 ai rigore quella partita per la Roja. Dal dischetto ci va anche Leo Messi, che però spara alto sopra la traversa. A fine partita sarà uno dei più disperati. Lacrime di dolore, inconsolabili.
Un pianto infinito, che non cessa negli spogliatoi. Va avanti, almeno per tutta la notte seguente. A raccontarlo è Elvio Paolorosso, preparatore atletico di quell’Argentina, che ha descritto le emozioni della Pulce nel momento più difficile della sua carriera ai microfoni di Marca. Sono le due del mattino, Elvio non riesce a prendere sonno, esce dalla sua stanza e finisce con l’incrociare proprio Messi: “Era solo, piangeva – racconta – come un bambino. Sembrava avesse perso la madre. Sono stato lì a consolarlo, l’ho abbracciato, abbiamo pianto un po’ insieme”.
Un dolore troppo forte per chi quella maglietta la ama più di ogni cosa. Per chi, probabilmente, avrebbe voluto incidere di più per la sua gente: “Sia a Barcellona che con l’Argentina si è sempre comportato benissimo – ha continuato – posso solo ringraziarlo per aver contribuito al nostro lavoro senza mai lamentarsi né sollevare polemica”. Altro che sfascia-sposgliatoio o dittatore. Il Messi dell’Argentina è un uomo ricco di sentimenti. E quella notte di giugno di due anni fa ne è l’ennesima conferma.
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