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Il “pioniere” Leonardo e una nuova tappa del suo viaggio: la Turchia

Coraggio, cuore e curiosità. Tre “c” che riassumono le scelte della seconda vita nel calcio di Leonardo, nuovo allenatore dell’Antalyaspor.
Nuovo viaggio, sfida nuova di un uomo che ama essere esploratore e pioniere. A Milano, a Parigi e adesso in Turchia. Da sei anni non tornava in panchina: era il 29 maggio del 2011. A Roma, nella finale di Coppa Italia, la sua Inter batteva 3-1 il sorprendente Palermo di Delio Rossi. Doppietta decisiva di Samuel Eto’o, oggi stella dei turchi. Leonardo guarderà subito a lui per rialzare una squadra inchiodata al 13° posto, nonostante i milioni spesi daAli Şafak Öztürk, proprietario del club . Un presidente che non vuole perdere tempo: 33 anni, rampante petroliere con un fatturato annuo di 10 miliardi e zero voglia di galleggiare sui bassifondi della classifica.

La sua ambizione ha convinto il brasiliano, insieme alla curiosità per un campionato nuovo, la voglia di rimettersi in gioco, la possibilità di farlo con Nasri, Menez e il camerunense là davanti. Ricominciare dalla periferia del calcio. Dare un senso agli investimenti fatti. Quasi un déja vu per Leo, che nel 2011 ricevette dal nuovo PSG degli sceicchi la direzione sportiva del club. Manager lontano dal campo. Due anni a lavorare dietro le quinte per portare i parigini nel calcio che conta, ingaggiando Ancelotti, Ibrahimovic, Thiago Silva, Verratti e Cavani, prima di salutare a seguito di una discussa squalifica per uno scontro con l’arbitro Castro dopo un pareggio con il Valenciennes.

Un addio difficile, dopo aver messo il PSG sulla mappa del calcio europeo. Un congedo dalla squadra che, da giocatore, nel ’96 gli aveva dato la possibilità di mettersi in luce in Europa. Veniva dal campionato vinto con i Kashima Antlers in Giappone, paese cruciale per la sua carriera. A Tokio, infatti, nel ’93 il suo San Paolo sconfisse il Milan in coppa Intercontinentale. Nel frastuono delle trombette e nel dolore della sconfitta, i rossoneri fecero la sua conoscenza. Fu amore a prima vista, concretizzato nel ’97 e andato avanti per 13 anni. Prima in campo, poi come osservatore e infine come allenatore. Una scommessa durata un anno, finita dopo un campionato concluso al terzo posto e ricordato soprattutto per il modulo “4-2 e fantasia”. Ronaldinho, Pato e Borriello più Seedorf. Liberamente ispirato al Brasile di Telè Santana, croce e delizia di una stagione divertente ma non abbastanza vincente, secondo i vertici. “A un certo punto avevo pensato che il Milan fosse la mia eternità”, disse poco dopo l’addio. Sbagliava, ma da cittadino del mondo trovò il coraggio per rimettersi in viaggio. Spostandosi di una ventina di chilometri, la distanza che separa Milanello da Appiano Gentile. Il luogo più vicino e lontano che potesse scegliere. La panchina dell’Inter, al posto di Benitez, nell’anno dopo il triplete. La stima di Moratti, un secondo posto alle spalle proprio del Milan di Allegri, fino all’addio, dopo il citato trionfo in coppa Italia.

Oggi a 48 anni Leonardo torna in campo. Di nuovo protagonista dopo l’esperienza da commentatore a Sky Sport. C’è un progetto da far crescere, un club che somiglia a una start up. Leonardo in gioventù voleva diventare ingegnere. Il calcio gli ha fatto prendere un’altra via. Un po’ come il suo illustre omonimo del Rinascimento, si è trovato a dipingere, affrescare, inventare, plasmare, restaurare.
Un artista a disposizione di un facoltoso mecenate. Avrà due anni per accontentarlo e fare dell’Antalyaspor una nuova Gioconda.

Claudio Giambene

Redazione

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