Nessuno stravolgimento del ritmo biologico, nessun giocatore che nasce già vecchio come il noto Benjamin Button. No, ma tra le tante stranezze del Portogallo finalista ad Euro 2016 (il terzo posto nel girone, le vittorie ai rigori e ai supplementari, la prima vittoria nei 90′ arrivata solo in semifinale) ce n’è un’altra: per certi versi sorprendente, per altri decisamente meno, se si guarda la storia recente di questa squadra. Nell’Europeo che ha sancito il ritorno del centravanti vecchio stile, classico, del numero 9, il Portogallo è arrivato in fondo senza averne uno di ruolo.
ECCEZIONI – Ok, Cristiano Ronaldo. Ha giocato lui da prima punta, ma lui non è un 9. Quantomeno, non è un 9 classico. Né un falso, né un vero. Ronaldo esce fuori dagli schemi, è appunto un’eccezione, non è riducibile a una categoria. Perché nello stesso quarto d’ora puoi vederlo saltare di testa dopo un terzo tempo lebroniano, tirare da 30 metri o puntare a suon di doppi passi il mal capitato di turno. Diciamo che, il centravanti portoghese inteso come tipo, nella storia recente, ha avuto altra caratura: Helder Postiga, Nuno Gomes, Pauleta.
COSTANTI – Torniamo ad Euro 2016. La costante, almeno a guardare le squadre più importanti, è sembrata essere il ritorno ad una presenza fissa lì davanti. Finalizzatore, bomber, 9, centravanti, punta. Tanti modi di chiamarlo, un solo identikit. A partire dall’altra finalista, la Francia con il suo Giroud. Certo, il paradosso è che poi il capocannoniere sia stato Griezmann, ma non si può negare come l’attaccante dell’Arsenal abbia avuto un impatto non secondario (3 gol e 2 assist). La Germania ha cambiato marcia quando Mario Gomez è andato a riempire l’area avversaria e (coincidenza?) è stata eliminata quando l’ex viola si è infortunato. Svezia-Ibra rientrerebbe tra le eccezioni per ovvi motivi, ma poi ci sono la Spagna con Morata (e Aduriz), la Croazia con Mandzukic, l’Italia con Pellé, l’Inghilterra con Vardy e Kane, la Polonia con Lewandowski (e perché no, anche Milik): la tendenza è abbastanza chiara.
DESTINO – Per anni il mantra che ha accompagnato il Portogallo è stato: “Ottima squadra, tanto talento. Magari avessero un centravanti vero…”. Quest’anno non ce l’hanno, tornano in finale dopo 12 anni, lo fanno contro la squadra padrona di casa. Loro che, nel 2004, da padroni di casa persero clamorosamente contro la Grecia nella notte di Lisbona. Lisbona-Parigi è un viaggio lungo quattro Europei, giunto a destinazione: la destinazione è un’occasione per ribaltare la storia. E sì, ribaltarla si può, anche senza un centravanti: sarebbe l’ulteriore conferma di un Europeo dove le regole sono battute dalle eccezioni. E forse è più bello così.
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