Categories: Interviste e Storie

Il capitano Dirk

Una favola di quelle da raccontare, con tanto di lieto fine. Una storia che non ha risvolti drammatici, ma che semplicemente nella mitezza e nell’umiltà ha trovato l’epilogo che meritava. Con colpevole ritardo. Dirk Kuyt ce l’ha fatta, però: ha conquistato il titolo più sospirato, in un ritorno al passato sentimentale, tattico e umano. E adesso ha deciso di ritirarsi a quasi 37 anni, da campione e giocatore simbolo dell’Eredivisie: 147 gol e 9 triplette, nessuno come lui nel 21° secolo.

La storia di Dirk Kuyt jr. comincia a Katwijk, cittadina di pescatori. Dirk senior non fa eccezione e per il figlio potrebbe prospettarsi la stessa trafila. Se non fosse che quel talento innato per il calcio, unito ad una proverbiale etica del lavoro, gli fanno sentire sempre più l’odore del professionismo. Un profumo che gli arriva a piccole folate, perché i Quick Boys non sono meta di scout e osservatori. Il sostegno della famiglia nella scelta permetteranno a Dirk di rinunciare a diverse proposte di lavoro in età giovanile, sempre legate al mare. Quando però lo vede giocare, l’Utrecht non impiega molto per rendersi conto di ciò che hanno per le mani. E non se lo fanno sfuggire. Dalla quarta serie all’Eredivisie, da un villaggio a una metropoli cinque volte più popolosa: uno sbalzo che la maturità acquisita gli permette di non risentire, pur avendo soltanto 18 anni.

Cinque anni in cui getta le basi della sua vita futura. Trova ciò che crede possa essere il suo ruolo, al centro dell’attacco, e l’amore della sua vita. Infatti, sposa subito Gertrude e la porta con sé a Rotterdam, quando arriva la chiamata del Feyenoord. Lì dovrà raccogliere l’eredità di Van Hooijdonk e lo farà a pieni voti. E’ con questa maglia che s’impone all’attenzione generale. La scelta è di impiegarlo da prima punta, i 71 gol in tre stagioni ne sono una conseguenza quasi inattesa. Gertrude decide di continuare ugualmente a lavorare, in una casa di cura per anziani, e quando il trasferimento a Liverpool e la nascita del primo figlio la portano a lasciare l’impiego, i due istituiscono la Fondazione Dirk Kuyt, ente benefico rivolto in particolar modo al miglioramento delle condizioni di vita dei bambini di tutto il mondo. “Come giocatore mi sento in dovere di dare il mio contributo, ma era difficilissimo poter essere vicino a tutti. Così un amico mi propose la fondazione. Ho cercato di aiutare bambini con disabilità attraverso lo sport e l’assistenza medica” ha spiegato l’olandese.

Con Rafa Benitez, nasce un sodalizio speciale. L’allenatore sceglie di rinunciare alla sua dote realizzativa per sfruttare una tenuta fisica fuori dal comune, in ogni posizione del campo. Lo spagnolo lo definirà Mr. Duracell, in Inghilterra diventerà The Dutch Dynamo. Mai sopra le righe, sempre alla mano. Quando gli chiesero la pronuncia corretta del cognome, la risposta fu questa: “Fa rima con ‘shout’. Ma vorrei parlarvi anche del mio nome, dovrebbe corrispondere un po’ al vostro Derek, giusto?”. Supereroe in campo e a casa, dove gli tocca fare gli straordinari come papà, visto che i bambini man mano sono aumentati, fino ad arrivare ai quattro attuali. Da domani, però, potrà finalmente occuparsi principalmente di loro. Intanto Gertrude li ha educati allo sport: calcio (ai Quick Boys, naturalmente) e nuoto su tutti, anche con la neve fitta. E in questo senso il piccolo Aidan già promette benissimo. Liverpool entra anche nel cuore della signora Kuyt, che ne ruba il motto celebre You never walk alone, frase che ha fatto stampare sulle t-shirt che ieri ha indossato tutta la famiglia.

L’esperienza inglese non si traduce nella vittoria di un campionato e il rapporto conflittuale con Dalglish lo convince che è il momento di migrare ancora. Il Fenerbahce lo acquista, arriva la tanto agognata vittoria di un titolo, ma le tensioni in Turchia esistevano anche due anni fa, quando il pullman della squadra – nel quale Kuyt non era nemmeno presente – stava per precipitare dopo un agguato a colpi di mitra. La scadenza del contratto e la proposta di un romantico ritorno al Feyenoord si conciliavano alla perfezione.

A Rotterdam rivive la seconda giovinezza dieci anni dopo, riuscendo a imporsi in maniera decisiva pur non essendo più all’apice della condizione. 37 anni da compiere tra un paio di mesi e la consapevolezza di aver ancora tanto da poter dare hanno reso comunque Kuyt indispensabile per la cavalcata al titolo di quest’anno, un trofeo che mancava da quasi vent’anni. In un percorso che si stava complicando proprio sul più bello, quando una sconfitta di troppo aveva rimesso in gioco le ambizioni del giovanissimo Ajax, dietro soltanto un punto a 90 minuti dal termine della stagione. Da bravo capitano, in undici giri di lancette Kuyt dissolve gli incubi: due gol, più il terzo verso la fine della partita hanno scritto la parola fine al campionato olandese. E anche al capitolo più bello della sua favola.

Salvatore Malfitano

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