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​Ieri, oggi e domani: perché questa Nazionale può tornare grande

Palla a terra e tanta qualità. Freschezza ed esperienza, poco turnover: costruire una base per poi lavorarci su. Roberto Mancini ha messo ko la Polonia e ha dato un segnale a tutto il mondo azzurro: “Noi ci siamo”. Una scossa, un segnale, per rialzarsi lentamente e con consapevolezza. Dei propri limiti, ma non solo: anche del proprio potenziale. Lo stesso che, circa un anno fa, con la Svezia venne meno e costrinse l’Italia a guardare i Mondiali in Russia dal divano di casa.

La squadra che ieri è scesa in campo contro Lewandowski e compagni però, pare essere davvero qualcosa di totalmente nuovo. E non lo dice soltanto il risultato finale, ma tutto ciò che ne è stato il presupposto. E che, a sua volta, si è rivelato frutto di uno studio attento da parte di Roberto Mancini. Il ct, dopo appena qualche mese, ha già dimostrato di aver voluto la panchina della Nazionale con tutto sé stesso: prima degli schemi, dei moduli e delle tattiche, Mancini in questa Italia ci ha messo il cuore.

IL NUOVO MODULO E IL “FALSO NUEVE”

Sempre 4-3-3, sempre gli stessi undici: contro Ucraina e Polonia, Mancini ha puntato dritto su una soluzione che, con ogni probabilità, meditava da tempo. Contro l’Ucraina l’ha testata e ne è uscito soddisfatto a metà, contro la Polonia l’ha perfezionata e, in più, è arrivato pure il risultato. Tre centrocampisti di palleggio – Barella, Jorginho e Verratti – e tre fantasisti col vizio del gol in avanti. Sempre gli stessi sei, è vero. Ma per ora va bene così: ci sarà tempo per permettere a tutti di salire sulla giostra che Mancini sta costruendo. Per adesso, siamo alle fondamenta.

La parola d’ordine è qualità, allo stato puro. E la bravura di Mancini non sta solo nell’aver trovato il modo di far esprimere ai suoi un bel gioco: ciò che più stupisce è come, nelle ultime due uscite, ogni singolo giocatore si sia trovato perfettamente a suo agio in campo. Uno su tutti, Marco Verratti: in Nazionale, un “Gufetto” così non si era mai visto prima, salvo rare eccezioni. Lo stesso dicasi per Bernardeschi e Insigne.

Quest’ultimo, il grande escluso ai tempi di Italia-Svezia, gioca adesso più vicino alla porta, proprio come Ancelotti ha voluto che fosse anche nel Napoli. Bernardeschi, che sta vivendo un momento di strepitosa ascesa, parte un po’ più dietro per poi andare ad attaccare centralmente, proprio come Allegri vuole che avvenga in bianconero. D’altronde, non è un mistero che Max, in estate, abbia provato “Berna” nel ruolo di mezzala e centravanti, traendone ottime risposte: Mancini ha cavalcato l’onda e adesso pure lui se lo gode in azzurro.

In più, con ogni probabilità, un ruolo fondamentale per trovare il giusto equilibrio l’ha giocato anche il ritorno di Chiellini a Coverciano: una squadra messa in campo in quel modo, con un centrocampo poco fisico e il rischio di subire incursioni continue anche per vie centrali, necessitava sicuramente di un condottiero pronto a garantire ordine ai suoi. E se Giorgio lo fa nella Juve, è senza ombra di dubbio l’uomo ideale per farlo anche con la maglia della nazionale sulle spalle.

I GIOVANI, TRA PRESENTE E FUTURO: PERCHE’ CREDERCI

C’è di più: questa Nazionale sembra decisamente costruita per un progetto a lungo termine. Per arrivare con orgoglio ai prossimi Europei e, magari, ancora meglio ai prossimi Mondiali. Per tornare ad essere competitivi e ad allargare il proprio raggio di ambizione: Mancini l’ha capito e sta puntando sui giovani. Sulla Nazionale… del futuro. Poco più di un mese fa, in conferenza stampa, il ct denunció: “É emergenza a centrocampo: i giovani, in quel ruolo, giocano davvero poco”. La mente di tutti andava a Cristante, Barella, Gagliardini: erano loro gli unici giovani e “azzurrabili” già arrivati in un top club o – come nel caso del regista del Cagliari – capaci di fare la differenza in una squadra di media-bassa classifica.

L’emergenza era evidente. Eppure, a pensarci bene, la gente di qualità non mancava: andava soltanto messa in campo in un certo modo. Fino a qualche mese fa, Jorginho e Verratti sembravano l’uno l’alternativa dell’altro, quasi inconciliabili. Necessariamente, al loro fianco, diventava indispensabile la presenza di qualcuno che si occupasse del lavoro sporco: per decine di partite, ci ha dovuto pensare Parolo. Mancini ha cambiato tutto: per mesi ha lavorato su una coesistenza dell’oriundo e dell’ex Pescara in campo. E, paradossalmente, l’ha trovata per mezzo di un ulteriore inserimento – quello di Barella, terzo componente di un centrocampo di indubbia qualità.

Mancano i mediani, questo è vero: contro la Polonia in panchina c’era solo Gagliardini. Però, volendo continuare sulla linea del tiki-taka, l’ascesa di Pellegrini con la Roma potrebbe fare di Lorenzo un altro prezioso rinforzo per il centrocampo azzurro, senza dimenticare l’importante contributo che certamente potrebbe già dare Bonaventura: lui, nel Milan, gioca mezzala ormai da anni. Nell’immediato futuro, poi la scuola di “play” made in Italy promette grandi cose: Locatelli, Zaniolo e Tonali del Brescia potrebbero essere pronti al salto di qualità nel giro di pochi anni. Mancheranno i mediani, ma di certo non il palleggio: è giusto che Mancini punti sin da ora su quello.

In difesa, seguendo la stessa linea, il rientro di Chiellini tra i convocati contribuirà alla crescita di tanti suoi compagni di reparto: alle spalle di Giorgio c’è un certo Romagnoli che nel Milan porta già al braccio la fascia da capitano e che, pertanto, presto dovrà dimostrarsi pronto al ruolo di leader, in rossonero come in azzurro. Con il rientro di Caldara poi, non è da escludere la convocazione di una… coppia di coppie – quella bianconera con Bonucci e Chiellini e quella rossonera con l’ex atalantino e Romagnoli: il duo difensivo del Milan “del futuro” crescerebbe seguendo l’esempio dei migliori e, quando arriverà il momento, sarà pronto per raccoglierne l’eredità.

Francesco Calvi

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