“Sono cresciuto con mio papà. Lui lavorava tanto per permetterci di vivere. Il nostro frigorifero non era mai pieno, non avevamo tanto da mangiare. Per esempio, quando andavamo a giocare i tornei giovanili in Germania con la squadra primavera del Malmoe andava dovevo chiedere 3000 corone a mio papà. Allora lui cosa faceva? Mi lasciava questi soldi e non pagava l’affitto per un mese, e mi mandava per giocare questi tornei, perché lui faceva tutto quello che poteva e mi dava tutte le alternative che c’erano”. Zlatan Ibrahimovic si è aperto in un’intervista esclusiva a SkySport. Il titolo già dice tutto: I Signori del Calcio: Ibra – Le Origini. Un viaggio nel passato del campione svedese, per capire come Zlatan è diventato Ibra.
“Quando sono arrivato al Malmoe non sono stato accettato dai compagni e dall’ambiente, perché avevo un nome straniero. Poi la squadra è retrocessa nella seconda divisione svedese e tanti giocatori andarono via. La società era quindi obbligata a usare i giovani, che erano forti, perché avevano vinto tutto nei campionati giovanili svedesi. Io non ero titolare, entravo dalla panchina, ma ancora non ero accettato e benvenuto. Dalla società mi hanno detto che Anderson (allenatore della prima squadra, n.d.r.) mi voleva vedere. Io ho pensato di aver fatto qualcosa di grave, di aver commesso qualche errore. Invece Anderson mi ha detto: ‘Basta giocare con giovani, adesso devi misurarti con i grandi’. Finalmente avevo trovato una persona che credeva in me. Allora ho colto l’opportunità, l’ho sfruttata e sono arrivato a dominare totalmente. In Svezia, quando ero nello spogliatoio con gli altri calciatori, sapevo di essere percepito diversamente, di essere straniero. Per cui, per avere una possibilità in Svezia, mi ero convinto di dover essere dieci volte più forte di chi avevo seduto accanto a me. Dovevo lavorare dieci volte più di quello, dovevo dimostrare i miei mezzi dieci volte più di tutti gli altri. Perciò, quando ho vinto il mio decimo pallone d’oro di Svezia, ho detto: Adesso mi sento più forte di tutti, perché ho vinto dieci volte questo pallone d’oro. Questa era la mia mentalità”.
Mentalità che poi gli ha fatto dire no all’Arsenal: “Sono andato a Londra per un appuntamento con Wenger, che mi ha chiesto di fare un provino per i Gunners. Gli ho detto: Io non faccio trial: o mi prendi o no, non sono qua per perdere tempo.Avevo già quel tipo di fiducia, perché nella mia testa ero il più forte di tutti anche da giovane. Ho incontrato Wenger perché mi aspettavo che mi dicesse di iniziare subito con loro. Ma Ibra non fa prove”. Da qui allora il trasferimento all’Ajax: “Era in trattativa per il mio cartellino. Dopo avermi seguito durante il ritiro estivo in Spagna, mi hanno contattato dalla squadra olandese e abbiamo chiuso il mio trasferimento in un’ora. Quando è uscita la notizia, mia mamma mi ha chiamato con voce triste ed era convinta fosse successo qualcosa di brutto, perché, da dove veniamo noi, quando esce la tua foto in televisione è successo qualcosa di grave o hai subito un infortunio serio. Anche se tu sei diverso, o arrivi da brutte zone, tutto è possibile: basta lavorare e credere in se stessi. All’Ajax non avevo nessuno. In quella fase della mia carriera non facevo tanti gol, quindi mi fischiavano molto. Questo è stato l’unico momento in cui mi sono sentito strano, perché oggi quando mi fischiano, mi sento stimolato. Mi dà adrenalina, mi dà motivazione. Dopo un po’, all’Ajax è arrivato Ronald Koeman, che ha iniziato a parlare con me. Finalmente ho trovato un allenatore che mi parlava, che mi aiutava, non solo uno che mi dava ordini, che mi diceva quello che devo fare senza fornirmi alcun feedback. Quando ho fatto gol nella finale di Coppa Nazionale Olandese, ricordo che lui è venuto da me e mi ha ringraziato”.
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