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“I love this game”. ‘Pat’ Evra leader silenzioso della Juventus: “Anche io ho chiesto un euro per comprarmi un sandwich”

No Facebook. No Twitter. Per le comunicazioni di servizio di un certo tipo usa Instagram. Solo Instagram. “Messaggio importante per i nostri tifosi!”. E parte il video, sull’aereo di ritorno Lione-Torino. Post Champions. “L’altro giorno sono andato in chiesa e mentre stavo pregando, qualcuno mi ha battuto la mano sulla spalla. Ho pensato fosse Gesù Cristo, sceso dalla Croce. Invece era un tifoso della Juventus che voleva una foto! Fino alla fine sì ma… non fino in Chiesa!”. Higuain scoppia a ridere, Dybala strabuzza gli occhi divertito. Barzelletta? Tutto vero. “Passo e chiudo”. Pat(rice) conclude con il suo solito motto di vita che ripete dovunque, con chiunque. “I love this game”. Ecco la traduzione. “Voglio semplicemente trasmettere un messaggio positivo. ‘Mi piace la mia vita’ e ‘goditi la tua vita’. La gente spesso mi dice ‘facile lanciare questi messaggi quando sei ricco’ ma… no no. Attenzione, state calmi. Anche io sono stato povero, come voi. Anche io ho chiesto un euro per comprarmi un sandwich. I soldi non cadono dal cielo”. 

Se cresci a Les Ulis, comune a sud di Parigi, due sono le strade: o la malavita oppure il calcio. Pat era portato per la seconda, non c’era proprio niente da fare. Dote naturale. Da attaccante, o come centrocampista. Rendeva meglio, al tempo. “Dopo la scuola giocavamo nei parcheggi, tra le macchine”. Pali fatti di felpe e compagni di giochi di un certo livello. “Nel mio quartiere è cresciuto anche Henry”. La voglia di arrivare in alto per guadagnarsi una vita migliore. Niente di più. Il treno passa a 17 anni: destinazione Italia, Marsala. “Era la prima volta che viaggiavo solo”. Senza telefonino e con il numero di mamma segnato su un cartoncino. Tappa a Milano Centrale: ‘la fine del mondo’. Evra imbambolato, tra partenze, arrivi, e orari di ogni tipo. “Mi sentivo perso. Quando un signore della mio stesso paese – Senegal – si è avvicinato per aiutarmi e dirmi che avevo perso il treno per Marsala sono crollato in lacrime”. Nessun dramma. Destino ha voluto che “quel signore mi ha portato a casa sua e si è preso cura di me. Abbiamo mangiato dallo stesso piatto, dormito nella stessa camera. Il giorno seguente son partito alle 6”. Evra a Sky Sport racconta come “mi piacerebbe incontrare questo signore, ancora”. 

Deschamps gli ha insegnato a vincere. “Con lui siamo arrivati in finale di Champions col Monaco, abbiamo sconfitto il Real dei galattici”. Ferguson gli ha fatto capire che vincere doveva essere la normalità per uno come lui. Anche se il come è curioso. “Quando si arrabbiava poteva farti piangere. I giocatori davano il massimo perché avevano paura di lui e delle sue reazioni. Se sbagliavi un passaggio e lanciavi un’occhiata alla panchina già pensavi a come saresti potuto uscire vivo dallo stadio”. Prima di un classico inglese come United-Arsenal. “Sai qual è stato il suo discorso? ‘Oggi c’è un bel sole, una bella giornata. Nessuno deve rovinarmela. Enjoy your game”. Ma Evra loved his game, da sempre. Tanto che Sir Alex gli ha prima affidato la fascia da capitano ‘per la mia positività’ e poi predetto una bella carriera da allenatore. Chissà. 

Allegri e la Juventus gli hanno allungato la carriera di tre anni almeno. “La preparazione è stato uno shock. Zidane ci raccontava in Nazionale di quante volte avesse vomitato ma sai, pensi sia leggenda”. Ogni giorno per tre mesi lo stesso siparietto. “Come stai Pat?” chiedeva Allegri. Il francese sincero: “Per adesso sono ancora vivo”. Evidentemente lo è anche oggi. E bene. La partita da leone, a Lione, è solo l’ultima delle prove. Leader, capitano silenzioso. E poi figuriamoci, se avesse avuto un problema ci avrebbe sicuramente avvisato con un messaggio *importante… su Instagram. 

Matteo Moretto

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