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​“I giocatori sbuffano, lui insiste”. Addio a Eugenio Bersellini, il “Sergente di ferro” che portò l’Inter al dodicesimo scudetto

Si è spento Eugenio Bersellini, il “Sergente di ferro” del calcio italiano. In Serie A allenò squadre come il Torino, la Sampdoria (che portò al primo trofeo della sua storia vincendo la Coppa Italia nell’85), la Fiorentina, l’Avellino e l’Ascoli. Ma i cinque anni più vittoriosi della sua carriera furono quelli dal 1977 al 1982, nerazzurri per volere dell’allora presidente Ivanoe Fraizzoli.

Su quella panchina vinse uno scudetto (1979/1980), due Coppe Italia (1977/1978 e 1981/1982) e un Mundialito per Club (1981). Bersellini si è spento a Prato, all’età di 81 anni. E il cordoglio va ad un allenatore che Claudio Colombo definì così: “Il sergente di ferro dei tempi nerazzurri, quello che costringeva i giocatori a correre dentro a una piscina o a rafforzare i garretti attraversando campi appena arati”.

Forse l’unico nella storia che, vinto un campionato, replicò ai giornalisti: “Lo scudetto è arrivato ma non è che sia soddisfatto in pieno di quello che ha fatto la mia squadra […] giocavamo meglio dodici mesi fa quando l’inesperienza finiva sempre col fregarci”.

Uomo di sport e di valore, tanto che di quel titolo disse: Il merito maggiore è della società che mi ha aiutato a fare la squadra che desideravo. Quando arrivai, tre anni fa, vidi tre ragazzini che mi parvero subito ben dotati: alludo a Pancheri, Baresi e Ambu che, infatti, adesso sono titolari. Era chiaro, però, che non bastavano e l’anno successivo pescai Altobelli, Beccalossi e Pasinato che sono stati tra i punti di forza della mia terza e migliore stagione nerazzurra. Io mi tengo solo il merito dell’impegno e della serietà nel lavoro”.

Uomo di poche parole ma di estrema concretezza. Tanto dialogo con i suoi giocatori ma rigido ed intransigente sul campo, il che gli valse quel duro soprannome. Arrivò a mettere fuori rosa per un litigio Beccalossi, prima di reinserirlo; le lamentele non erano ammesse, di nessun genere, nemmeno quando faceva correre tutti su e giù per la fascia senza palla o li costringeva a simulare cross di continuo. Solo così il “Berse” riuscì a costruire una squadra dai meccanismi semplici ma efficaci, ispirati spesso a quelli del basket, sport che amava fin da giovane. E i risultati del suo lavoro si videro.

Oggi a tutti i giocatori che ha allenato in carriera, Eugenio Bersellini mancherà, così come mancherà a chi ne ha tastato con mano genuinità e determinazione.

Perché fu sì un Sergente di ferro, ma soprattutto un esempio di dedizione e sacrificio, doti di cui lo sport avrà sempre bisogno.

Redazione

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