Interviste e Storie

Il nuoto, il campetto di casa e le estati da allenatore: alle origini di Hojlund

In piscina andava forte, ma ha scelto il calcio. Cresciuto tra gli allenamenti con i fratelli e l’idolo Cristiano Ronaldo: l’attaccante azzurro raccontato dal suo ex direttore.

È il nuovo attaccante di Antonio Conte, ma la sua carriera sarebbe potuta essere lontana dai campi da calcio. Dove? In piscina. Sì, perché Rasmus Hojlund, oltre che essere un buon prospetto con il pallone tra i piedi, era anche molto bravo nel nuoto e giocava a tennis e badminton.

Lo ricorda bene Christian Mouroux, direttore dell’Academy dell’Hørsholm-Usserød Idrætsklub (HUI), la squadra in cui il giocatore è cresciuto: «Era un grande nuotatore, ma crescendo ha dovuto scegliere tra i due sport. Entrambi richiedevano la massima dedizione».

Anche perché l’impegno del giovane Rasmus era così, totale e incondizionato: «Il suo successo è dovuto alla sua estrema etica del lavoro. Non è un calciatore naturalmente dotato, ha raggiunto questi livelli grazie alla sua disciplina». Carattere e sacrificio, il profilo perfetto per la filosofia di Antonio Conte. Il gol all’esordio contro la Fiorentina e la doppietta in Champions ne sono una prima conferma.

Gli allenamenti con papà e i litigi con i fratelli

I primi insegnamenti arrivano a casa. A casa Hojlund si respira calcio, da sempre. Il papà è un falegname con un passato nella prima divisione danese. La mamma è stata una velocista a livello agonistico. E poi i figli: Rasmus e i gemelli Oscar, ora all’Eintracht Francoforte, ed Emil, giocatore dello Schalke 04. I genitori sempre presenti per seguirli sulle gradinate in tribuna o in piedi per la tensione davanti alla tv. Ed è stato il padre ad aiutarli a “costruirsi” parte della loro carriera: «Ha costruito un campo da calcio al coperto in modo tale che potessero giocare tutto l’anno». Ore e ore a giocare ed esercitarsi: «Non ho mai visto nessuno allenarsi individualmente quanto Rasmus e i suoi fratelli. Erano sempre in campo al di fuori degli allenamenti di squadra». Gli 1 contro 1 tra i fratelli Hojlund diventano una questione di vita o di morte: «A volte litigavano tra di loro perché erano molto competitivi. Allora il padre a volte li allenava separatamente». Ed è lì, tra le mura di casa che Rasmus perfeziona la sua tecnica di tiro, la difesa del pallone e lavora sugli errori commessi durante le partite. Uno stile di vita.

Rasmus Højlund (IMAGO)

Le estati da allenatore e l’Italia nel destino

L’infanzia di Rasmus si divide tra quel campo costruito a casa e quello dell’HUI. È un ragazzo fisicamente più sviluppato dei suoi coetanei (al verrà soprannominato “Bøf”, cioè “Bistecca”, per la sua forza fisica): «Giocava con ragazzi di un anno più grandi di lui. In realtà, all’inizio Rasmus non era un giocatore eccezionale. Non era particolarmente veloce. Il suo riferimento era Cristiano Ronaldo». L’esplosione arriva solo più avanti. Grazie al lavoro e alla dedizione, appunto. A 12 anni cambia squadra, ma con l’HUI il rapporto rimane rimasto intatto negli anni: «La sua famiglia vive accanto al nostro centro sportivo. I fratelli Hojlund vengono a trovarci durante le vacanze e si allenano qui in vista delle preparazioni con le rispettive squadre. E per noi Rasmus ha fatto anche l’allenatore». In che senso? «Durante i campi estivi del club, ha allenato le giovanili. Ha sempre sostenuto la nostra società». Ora Rasmus tornerà in Serie A, dove l’Europa l’ha conosciuto. L’Italia, una volta ancora. Da bambino era la meta preferita della sua famiglia per le vacanze, che sia anche la sua da calciatore? Qualche indizio è già arrivato.

Nicolò Franceschin

Nato nel 1997 tra Milano, Como e Lecco. Laureato in Giurisprudenza, ma ai codici ho preferito una penna. Cresciuto con Maradona (il calcio), ma anche Ronaldinho e Sneijder. Il fascino del numero 10. Credo nella forza delle parole. Verità e narrazione. In giro in macchina per stadi, campi e strade alla ricerca di nuovi colori da scrivere, perché ognuno ha una sua sfumatura. Le note del telefono che si riempiono di storie, alcune il cui finale è ancora tutto da scrivere. Una di queste è la mia. Raccontare emozioni e dare voce a chi non ce l’ha.

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