Categories: Interviste e Storie

“Ho quattordici placche di metallo nel cranio”. Il dramma di Ryan Mason

Ritirarsi è sempre difficile. Dire addio al calcio perché obbligati, forse, lo è ancora di più. Questa la sorte toccata a Ryan Mason, (ex) centrocampista di Tottenham e Hull City. Classe 1991, troppo giovane per appendere gli scarpini al chiodo. Lo ha dovuto fare però, tutta colpa di un maledetto scontro di gioco. Dall’altra parte c’era il Chelsea, ennesima battaglia in Premier per un ragazzo che, oggi, avrebbe fatto molto comodo alla squadra di Pochettino. Sì, il cartellino era di proprietà proprio del Tottenham, dove sarebbe tornato dopo il prestito all’Hull City.

Invece il violentissimo scontro con Gary Cahill e la grande paura. Il violentissimo trauma cranico e l’intervento chirurgico immediato. Poi, 13 mesi dopo l’incidente, la sentenza dei medici: l’unica opzione in grado di garantirgli la salute è quella del ritiro. E così Ryan ha dovuto dire basta a soli 26 anni: “È difficile spiegare a parole l’ultimo anno che ho vissuto – aveva scritto il centrocampista in un tweet sul suo profilo – è stata una sfida fisica e mentale che sono orgoglioso di aver superato e aver concluso il 2017 tenendo mio figlio neonato in braccio è una sensazione speciale. Tornerò presto”. Quella dello Stamford Bridge, del 22 gennaio 2017, è invece stata l’ultima gara giocata.

Tanta la paura di quei giorni. Ancora fresca l’immagine dei compagni e degli avversari. Gli occhi rossi e le mani sul volto a testimoniarne la paura: “Adesso ho quattordici placche di metallo nel cranio con ventotto viti per tenerle al loro posto” Ha raccontato in un’intervista a Four Four Two. Difficilissima la riabilitazione, tanto il dolore: “Avevo 45 punti e una grossa cicatrice che mi attraversava la testa – ha continuato – togliere i punti non è stato assolutamente piacevole”.

Ad aggravare il tutto i dolori alla testa: “Perché da quella parte della mia faccia tutti i nervi sono stati danneggiati. Per mangiare, nei primi giorni, dovevo essere imboccato”. Niente pallone fra i piedi. Ma la vita no, quella non l’ha abbandonata. E in fondo questa è la cosa più importante.

Redazione

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