“E nei tuoi occhi che piangono, mille ricordi non muoiono”. Potrebbe essere questa la colonna sonora dell’ultima istantanea della storia tra Gonzalo Higuain e l’Italia. Storia di cuori conquistati e poi infranti, di grandi aspettative a volte rispettate e qualche volta disattese, e soprattutto di gol, tanti gol. Chissà se, nell’aereo che lo ha portato lo da Torino a Miami, il Pipita li abbia passati in rassegna a uno a uno dal primo al centosessantacinquesimo: dal Bentegodi di Verona – seconda giornata della stagione 2013/14, la sua prima col Napoli – ad un Allianz Stadium vuoto nell’ultima giornata della stagione appena conclusa eppure così lontana, contro la Roma.
E in mezzo? In mezzo tanto stupore, suscitato dallo strapotere fisico degli anni migliori, dalle traiettorie impossibili, dalle progressioni e dall’opportunismo, dall’esserci lì dove contava. Dall’essere Gonzalo Higuain. Re di Napoli, battezzato prima da uno scoglio di Capri e poi da un pubblico che lo ha amato incondizionatamente. 24 gol e un trofeo – la Coppa Italia – al primo anno, due delusioni e una gioia al secondo: il preliminare di Champions League perso contro l’Athletic Bilbao e il rigore fallito contro la Lazio all’ultima giornata, che costa al Napoli il terzo posto; in mezzo la Supercoppa vinta contro la Juve (con doppietta) e riportata a Napoli dove mancava dai tempi di Maradona.
La stagione 2015/16 è un caleidoscopio di sensazioni, un mix che paradossalmente finisce col cementare il rapporto tra Higuain e Napoli, rendendo poi ancora più amara la separazione che avverrà alla fine. Il Pipita è il braccio armato di Maurizio Sarri, la tonalità più intensa di un azzurro che fa rima con “Sarrismo”, una perfezione che dalle parti di Fuorigrotta è ancora – seppure a bassa voce – rievocata con un pizzico di malinconia. I sogni scudetto del Napoli, campione d’inverno dopo 25 anni – durano fino allo scontro diretto deciso da Zaza, ma è quel salvataggio di Bonucci su Higuain l’immagine che non lascerà dormire per un po’ il popolo partenopeo. L’altra, decisamente più dolce, è il Pipita portato in trionfo sotto la pioggia del San Paolo: è appena entrato nella storia, superando Nordhal e diventando, con 36 gol, il capocannoniere più prolifico nella storia della Serie A.
“Un giorno all’improvviso”, però, qualcosa si spezza. E si consuma quello che per i tifosi azzurri è “il” tradimento: Higuain va alla Juventus per 94 milioni, esercitando la clausola rescissoria presente nel suo contratto. La fame di vittorie e la voglia di competere a livelli ancora più alti lo spingono a Torino. Anche questa è una storia che può essere raccontata per immagini: i pochi secondi che trascorrono tra il suo esordio e il suo primo gol contro la Fiorentina, le reti decisive in campionato e quelle segnate proprio contro il Napoli puntuali come in un beffardo copione. Il Pipita arriva a giocare la sua prima finale di Champions League dopo una doppietta al Monaco in semifinale: altra immagine – lui sotto il settore ospiti del Louis II – che precede quella inerme e svuotata del Millennium Stadium di Cardiff.
Ma è probabilmente la notte del 28 aprile 2018 a San Siro l’altro punto più alto della carriera di Higuain in Italia: il gol scudetto nella rimonta contro l’Inter è la firma con inchiostro indelebile sulla storia bianconera, la testa di Higuain che calamita la palla, un altro dolore inflitto alla sua ex squadra. Anche questa gioia precede un addio: è l’estate dell’arrivo di Cristiano Ronaldo e Higuain si sente improvvisamente messo da parte. Per chi, come lui, è abituato ad essere coccolato, una nuova sfida diventa necessaria. C’è il Milan, che vuole tornare a respirare aria buona e si regala un 9 che, così importante, mancava da tempo.
E però la storia del Pipita è fatta di incroci, sliding doors, conti salati da pagare: è proprio un Milan-Juventus che fa da spartiacque. Il rigore sbagliato, l’espulsione: l’esperienza in rossonero, fino a quel momento impreziosita da sussulti più che altro di orgoglio, si lacera dopo quel match. Gonzalo lascia l’Italia, anche se non del tutto: ad attenderlo, a Londra, c’è il suo maestro Sarri con cui vincerà un’Europa League. Il suo cartellino è ancora della Juventus, dove torna per la stagione 2019/20: per chiudere i conti in sospeso, per dimostrare che anche con Ronaldo in squadra, lui può essere se non decisivo, importante.
Altre immagini, nuove istantanee: ancora il Napoli trafitto con una magia che sembra annullare tempo e spazio, ancora le braccia spalancate dopo un gol decisivo in un Inter-Juventus a San Siro, la doppietta contro l’Atalanta. Prima che una pandemia decidesse di fermare tutto e lasciare un segno profondo in tutti noi e – nel caso specifico – nella psiche del Pipita. Che in quarantena in Argentina vive un periodo molto duro dal punto di vista personale, per poi tornare in Italia e mettersi a disposizione. The Last Dance, l’ultimo è un ballo silenzioso come gli stadi in cui solleva l’ultimo trofeo e dove segna gli ultimi gol. Chissà, se li avrà passati in rassegna. Dal primo al centosessantacinquesimo. In fondo, quello da Torino a Miami è un lungo viaggio. Proprio come quello iniziato sette anni fa e giunto stanotte alla fine.
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