Era il 29 maggio del 1985 quando avvenne probabilmente l’evento che più ha cambiato le sorti del calcio, non tanto sul campo quanto sugli spalti. La tragedia dell’Heysel nella finale di Champions League tra Juventus e Liverpool rimarrà per sempre impresso nella mente di tutti i tifosi. Specialmente di chi quel giorno era allo stadio, come Vittorio Traini, ora presidente dello Juventus Club Doc di Fermo.
Cresciuto ammirando Boniperti e Sivori (di cui confessa di avere ancora la sua figurina), è un tifoso bianconero fin dalle elementari. Ha fatto le trasferte più improponibili, ma rischiava di saltare quella più importante, in Belgio. “Fino a poco prima della partita neanche avevo i biglietti”, racconta Vittorio ai microfoni di gianlucadimarzio.com. “Sono riuscito a prendere gli ultimi rimasti solo un paio di giorni prima della finale”. E di finali ne aveva già viste parecchie, una su tutte quella dei Mondiali dell’82 al Bernabeu.
Dall’euforia dell’urlo di Tardelli alla tristezza di quella sera a Bruxelles. “I tifosi del Liverpool ci lanciavano le bottiglie o le rompevano solamente per poi puntarle al collo degli juventini una volta scavalcato il loro settore. Anche quando hanno visto che la tribuna stava crollando hanno continuato a lanciarci di tutto. Ero a 50/60 centimetri dalla parte dove è crollata, per un miracolo non sono finito lì in mezzo”.
Una tragedia che poteva essere di certo evitata, fin dalla scelta dello stadio. “Non era minimamente a norma, né per il numero di posti, troppo piccolo per ospitare un evento del genere, né per il sistema di sicurezza. A noi italiani avevano fatto le perquisizioni più approfondite di questo mondo. Agli inglesi gli hanno fatto entrare di tutto. A un certo punto è arrivata anche la polizia addirittura a cavallo che ha potuto fare ben poco”. Un evento che inevitabilmente ha segnato Vittorio. “Sono tornato a vedere una finale di Champions League della Juventus solamente nel 2015 a Berlino, nonostante in mezzo ne abbia giocate parecchie”.
Ancora oggi ci si chiede perché, nonostante le 39 vittime, la finale è stata fatta giocare lo stesso. “Non hanno rimandato la partita perché se avessero dovuto far uscire tutte quelle persone subito sarebbe successo il triplo dei casini. Le uscite dei settori riservati ai tifosi delle squadre non erano divise neanche da un muro, ma da un singolo cordone di militari. Troppo poco per contenere gli hooligans”. Quella partita la decise Platini su rigore, che poi alzò la Coppa dei Campioni dedicandola a tutte quelle persone che erano morte solamente per vedere lui e i suoi compagni.
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