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Harakiri giapponese: ma questo Belgio non muore mai

Siamo sinceri. Questo articolo sarebbe dovuto essere un elogio smielato al Giappone, di quelli interessanti e piene di cose che probabilmente sarebbero rimaste ignote ai più.

Avrebbe avuto come titolo qualcosa ‘dal Giappone con furore’ e sarebbe stato un gran bel pezzo. Ma poi ci siamo scontrati con la voglia di vincere del Belgio. E la favola giapponese è rimasta incompiuta.

Era, sulla carta, l’ottavo di finale più scontato. Belgio-Giappone, da una parte la prima a punteggio pieno del gruppo G, dall’altra una formazione che è sopravvissuta ai gironi solo per il minor numero di cartellini. Le premesse sapevano di sentenza per la selezione di Nishino, che però tira i suoi a lucido dopo la sconfitta contro la Polonia.

Dopo un primo tempo dominato dal Belgio, nella ripresa il risultato finalmente si sblocca, ma nel modo che ti aspetti. Al 52’ il tabellone del Kazan Stadium segna il risultato di 0-2, grazie alle reti di Haraguchi e Inui, quest’ultimo autore di un destro più letale del tiro della tigre di Mark Landers.

È il momento più difficile della spedizione belga. A 38’ dalla fine, Hazard e compagni hanno il proprio destino in mano. Sono due le vie: o arrendersi all’evolversi degli eventi, o dimostrare di essere pronti a quel salto, di qualità, di mentalità, che tutti ti chiedono da troppo tempo. Quel salto che non arrivò nel 2014, quando l’Argentina di Messi escluse i Diavoli Rossi ai quarti, e che mancò anche nel 2016, quando il Galles di Gareth Bale pose fine al sogno belga.

L’inerzia nel calcio è un concetto sfuggente ma terribilmente presente, soprattutto in partite ad eliminazione diretta dove cuore e tensione hanno spesso e volentieri il sopravvento su tattica e tecnica. Per sbloccarsi, il Belgio ha bisogno di un episodio, contro un Giappone che comincia a giocare sul velluto. Martinez inserisce Fellaini e Chadli per Mertens e Carrasco. Ma con un potenziale offensivo devastante, l’uomo del destino è un difensore: Jan Vertonghen, in rete con un lob di testa al 69′. È un attimo, che cambia tutto.

Da quel momento, c’è qualcosa di diverso nell’aria. C’è qualcosa di diverso negli occhi di Eden Hazard e Kevin De Bruyne, che ora sentono di poter davvero vincerla, anche da soli, cogliendo al volo l’occasione per dimostrarsi grandi e pronti. Pronti per portarsi a casa il titolo. Non è lo stesso per Lukaku, annullato da un difensore di soli 78 chili ma dal cuore enorme: Maya Yoshida, probabilmente eroe nazionale, se non fosse stato per Fellaini, che al 74’ fa 2-2 con un’incornata perfetta e rabbiosa.

In questi momenti, il calcio si palesa nella sua forma più pura, come sport fatto di puri nervi ed emozioni. Saltano gli schemi, si perdono le certezze, ci si affida ai singoli. In un clima rovente si arriva ai minuti di recupero, 4, come segnala la lavagnetta del quarto uomo.

Honda ci prova su punizione da distanza siderale, e per poco non regala a Nishino la gioia della vita. Courtois devia in angolo, e dagli sviluppi del corner nasce un contropiede semplicemente folle, aperto dagli occhi della tigre di De Bruyne e finalizzato da Chadli, che di piatto apre la festa belga. E segna una delle rimonti più incredibili della storia della competizione.

I giapponesi sono famosi per i loro cartoni, diffusi in Italia come in tutto il globo. Dall’immortale Holly e Benji, (chi non conosce Holly e Benji?), passando a Heidi e Lupin. Rappresentazioni animate, un po’ stilizzate, con un triangolino al posto del naso, a cui era impossibile non affezionarsi, almeno un po’. Come è stato difficile non emozionarsi per questo Giappone. Nishino ha disposto i suoi in campo con ordine e disciplina, tradizionalmente doti di cui il Giappone fa un vanto. Oggi non sono bastate, contro la pazza imprevedibilità del Belgio. Kawashima e Inui sembrava potessero coronare il sogno di un intero paese, fare meglio perfino di Olliver Hutton e Benji Price – come chiesto dalla caratteristica coreografia dei tifosi. Invece hanno dato vita ad un film horror difficile da dimenticare in tutto l’impero del Sol Levante.

Se da una parte si piange, dall’altra è festa grande. Grande come il Belgio, capace di fare la partita, finire con le spalle al muro e poi ribaltare tutto. Così, quasi per gioco, per sfida. Come per lanciare un segnale, al Brasile e a tutto il mondo, di voler fare sul serio. Di puntare davvero alla coppa più ambita in tutti i continenti. Quella che vogliono alzare Hazard e De Bruyne, leader tecnici di una squadra basata su un calcio di qualità e imprevedibilità, emotivo e tattico allo stesso tempo.

Ai quarti la squadra di Martinez avrà di fronte Neymar e compagni, che avranno assistito alla partita. Divertiti ma anche timorosi. Perchè hanno capito con chi avranno a che fare venerdì. Un Belgio che non muore mai, capace di approfittare dell’harakiri giapponese per scrivere una delle pagine più belle della propria storia. Li chiamano Diavoli Rossi, dovrà esserci pure un motivo. Ora in Giappone sembra più chiaro.

Redazione

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