“Vedi, il mio sogno è fare un viaggio in Europa per girare gli stadi dell’Inghilterra. E poi riuscire a vedere la Juve”. Siamo seduti sparsi sul pavimento di una casa di un villaggio nella natura thailandese. La casa non ha pareti, aperta sulla foresta. A parlare è Mike, guida di un trekking e figlio di quella realtà. Lo stemma del Chelsea tatuato sulla spalla, la maglia di Modric indossata e domande sul calcio: “Qual è il giocatore italiano più forte?”. Totti, Pirlo, Baggio, le risposte sono diverse. “A me piace Jorginho”, afferma convinto Mike. Il motivo? Il suo passato con i Blues. La ragione del suo amore per la squadra di Londra, invece, la capiremo tra poco.
Nella sua storia ci sono una passione per il calcio, nata tra i corridoi dell’università, che va oltre la distanza e la povertà, l’amore per Hazard e una maglietta regalata. E poi ci sono i valori autentici di un ragazzo e di un popolo che nel non avere nulla sanno trovare il loro tutto. La felicità nella semplicità. Come in quel pallone che Mike calciava provando a essere come il suo idolo, Eden Hazard.
13388 i km che dividono Londra e Chiang Mai, la città più vicina al suo villaggio. “Il calcio l’ho conosciuto grazie all’università”, racconta Mike. “Un giorno un ragazzo olandese passò dalle nostre abitazioni e decise di pagare gli studi a uno dei bambini presenti. Mi proposi e da lì è partito tutto”. Tra i corridoi e le aule “è nato il mio amore per il pallone. Leggevo i giornali, vedevo le partite in tv… La prima fu Chelsea-Arsenal, la seconda Chelsea-Manchester United. Mi piaceva quella maglia blu, così sono diventato un loro tifoso”.
Alza la manica della maglia: “Guarda, ho lo stemma tatuato”. Chelsea dove giocava il suo idolo: “Hazard, lo adoravo. In campo era fortissimo e divertente nelle interviste. Per lui ho chiamato il mio cane Eden”. E le giornate passate in università a imitare le sue giocate. “O almeno ci provavo. Giocavo in attacco, anche se i miei compagni volevano mettermi in porta”, ride divertito.
“Qui viviamo con poco, manca tutto, anche la connessione Internet. Da piccolo la mia casa era fatta di bambù e con una sola stanza. In inverno dormivamo intorno a un fuoco sdraiati sui lati della nostra unica camera”, ricorda Mike. “Non avevamo giochi. Usavamo i tronchi di banano come barchette sul fiume”. Il pallone l’ha visto solo anni dopo con la passione per il Chelsea. Dei Blues la prima maglia avuta: “Quando lavoravo a Chiang Mai in una guest house il mio vicino di stanza ebbe un malore. Lo trovai sdraiato sul pavimento e chiamai i soccorsi”. I giorni passati in ospedale: “Aveva solo me. Era inglese, la madre mi chiese cosa potesse regalarmi per ringraziarmi”. “Una maglia del Chelsea”, la richiesta. Regalo spedito: “Ero contentissimo, peccato che nei mesi successivi me la rubarono. Ora ho quella di Modric, Lahm e Mbappé.. tutti regali di persone che ho accompagnato nei trekking”.
Racconta tutto con il sorriso. Quel sorriso fatto di gentilezza e purezza, proprio della sua gente. Semplice, come la passione per quel pallone. 13388 km, il sogno di vedere Chelsea-Manchester United dal vivo da realizzare. “Ma non è l’unico eh”. Qual è l’altro? “Vedere la neve per la prima volta”. Semplice. Autentico.
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