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Gonzalo Higuaín, orgoglio e… un giudizio

Voleva fosse la Sua partita.

Vendicarsi (ovviamente a livello sportivo) di una cessione che lo ha visto diventare, da colpo inatteso di due estati prima strappato alla diretta concorrente per lo scudetto, a elemento da sacrificare per l’arrivo di uno dei migliori calciatori al mondo. Ma la pagina del romanzo degli ex scritta da Gonzalo Higuaín oggi, nella partita in cui tutti lo aspettavano, è stata scritta, scarabocchiata e stracciata. In un impeto di nervosismo finale, percepibile già da qualche partita, finito per oltrepassare il limite consentito.

Orgoglio e… un giudizio. Jane Austen l’avrebbe scritto diversamente, ma il gioco di parole si avvicina molto al titolo ideale da dare agli 83’ in campo del “Pipa”: sognava un gol dell’ex “alla Bonucci”, capace di colpire l’anno scorso allo “Stadium” con la maglia rossonera addosso. Ma la realtà e il destino, sommate ad una smania di fare più mentale che ribaltata sul campo, lo hanno portato a vestire i panni di un Icaro capace sì di volare, come già dimostrato più volte, ma finito troppo vicino a un sole capace di scioglierne ogni intenzione.



Undici metri voluti, desiderati e il dischetto strappato a Kessie, normalmente rigorista designato, per girare involontariamente il verso della propria serata verso il “No”: voglia di rivalsa infiammata da un rigore conquistato e crollata, pochi secondi dopo, in una conclusione debole, nemmeno troppa angolata, deviata da Szczesny sul palo. Errore, come in occasione dell’ultimo penalty calciato e finito sulla traversa (contro il Tottenham), capace di lasciarlo con le mani sui fianchi, sconsolato: deluso da se stesso e da un carpe diem irripetibile, svanito in un istante decisivo.

“Siam venuti fin qui per vedere segnare Higuaín”: coro che Gonzalo e il suo pubblico avrebbero voluto sentire dopo un gol realizzato, come consuetudine vuole. Voci che invece sono arrivate ironicamente dal settore ospiti e da chi, fino a pochi mesi fa, esultava per lui: sormontando il dialogo con Szczesny al rientro dall’intervallo, conscio e “fortunato” nell’indovinare l’angolo normalmente scelto dal “Pipa”, e il tentativo di compagni (ed ex) di bloccarne la reazione post espulsione. Epilogo perfetto, nella negatività, per chiudere tutto nella maniera opposta rispetto a come avrebbe voluto: lasciando il campo tra le lacrime, consolato da Matuidi, scendendo invece di salire…in alto. Dalla voglia di volare ancora in campo, come tante volte fatto, agli spogliatoi, in anticipo e a testa bassa: conscio di aver sbagliato, pentendosi, avendo voglia di scusarsi con squadra, tifosi, arbitro.

Come accaduto un’ora dopo, mettendo da parte delusione ed orgoglio: ciò che avrebbe voluto lo portassero ad un gol, ad una vittoria, a gioire. Da non robot però, come si è autodefinito, poteva anche non finire così: preda di un’emotività che come ad Udine, più di due anni fa, ha finito per dipingerne un ritratto più umano che mai.

Simone Nobilini

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